Lana Murphy è una giornalista che lavora per il programma televisivo 9NewsMelb, di Melbourne, nello Stato australiano del Victoria. Sabato 2 luglio stava realizzando un servizio giornalistico a copertura della manifestazione filo-abortista, organizzata anche nella sua città da chi pensa che la Corte Suprema statunitense abbia commesso un errore ribaltando la sentenza Roe vs. Wade del 1973 e restituendo così giustamente ai singoli Stati dell’Unione la competenza di legiferare sull’aborto.
Fra i tanti cartelli che inneggiavano al cosiddetto “diritto” femminile a sopprimere un bambino nel ventre materno, uno in particolare le è stato passato, la giornalista ridendo l’ha preso, le è stata scattata una fotografia e l’immagine è arrivata a far bella mostra di sé anche sul profilo Twitter della Murphy.
La scritta sul cartello recitava, testualmente, ciò che chiunque può leggere di seguito.
Ora, non è la prima volta né sarà purtroppo l’ultima che la religione cristiana viene dileggiata e sbeffeggiata, che il credo profondo e sincero di milioni di persone nel mondo finisce fra la carta straccia, sia all’estero sia in Italia, per esempio la statua della Madonna deturpata e portata a spasso per le vie del centro durante il recente «Milano Pride» se le ricordano tutti. Neppure la “battuta” è stata troppo originale, e fa il paio con altre di tono analogo che irridono la paternità di san Giuseppe.
Ciò che colpisce, piuttosto, è il fatto che un trattamento simile sia riservato esclusivamente ai cristiani. Di nessun’altra religione si può parlare in tono men che rispettoso. Nessuna categoria di persone può essere offesa o irrisa. Non è possibile far trasparire alcun tipo di considerazione “diversa” rispetto a sesso, reale o autopercepito, colore della pelle, orientamento sessuale, aspetto fisico, disabilità. Mai. Solo i cristiani si possono prendere a pesci in faccia.
«Non rivolgerti a una donna trans usando il pronome errato», afferma James Macpherson sul sito web di Spectator Australia. «E non iniziare una riunione senza rivolgerti agli aborigeni, anche se non ce n’è neppure uno nella stanza. Non implicare che le persone disabili siano in alcun modo svantaggiate. E non criticare uomini adulti in calze a rete che leggono storie ai bambini in età prescolare come qualcosa di diverso dal perfettamente normale».
Ma, continua il giornalista australiano, «c’è un gruppo per il quale non si applicano le normali sensibilità. “Inclusività” significa escludere i cristiani. “Diversità” significa tutti tranne i cristiani».
Macpherson, per la verità, per parte propria sosterrebbe pure la libertà di dire di chiunque ciò che si desideri, senza andare troppo per il sottile. Discute invece ciò che definisce un «doppio standard», che attribuisce in modo specifico alla Sinistra del suo Paese, e invita il premier Daniel Andrews a prendere posizione pubblicamente rispetto alla vicenda del cartello fra le mani della Murphy. Il Racial and Religious Tolerance Act del resto «rende illegali i comportamenti che incitano o incoraggiano l’odio, il grave disprezzo, la repulsione o il grave ridicolo nei confronti di un’altra persona o gruppo di persone, a causa della loro razza o religione». Dubita, però, che il ministro si muoverà.
Dopo che alcune persone sui social media hanno chiesto provvedimenti disciplinari da parte del datore di lavoro, la giornalista si è scusata per avere «dato l’impressione» di essere d’accordo con quanto espresso sul cartello.
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