Nei primi tre mesi dalla legalizzazione del cosiddetto «suicidio assistito» in Nuova Zelanda almeno 28 persone sono state aiutate a morire. Dopo che due terzi dei votanti (65,1%) lo avevano approvato con il referendum del 17 ottobre 2020, il 7 novembre del 2021 è entrato in vigore l’End of Life Choice Act, che consente ai neozelandesi qualificati come malati terminali di scegliere di porre fine alla loro vita.
Secondo i dati del ministero neozelandese della Salute, aggiornati al 31 gennaio di quest’anno, vi sono state più di due dozzine di «morti assistite». Ma poiché i dati vengono aggiornati ogni settimana, è verosimile che il numero sia in realtà già nettamente superiore.
Nel Paese australe per poter beneficiare della «morte assistita» bisogna avere almeno 18 anni e una diagnosi di malattia terminale, con speranza di vita non superiore ai sei mesi. Inoltre chi ne usufruisce deve trovarsi in uno stato di declino fisico significativo e continuo, nonché di sofferenze insopportabili che non possono essere alleviate in modo ritenuto accettabile dal paziente.
Psichiatri mai consultati
Al momento la cancelleria che registra le richieste di «morte assistita» non ha mai ricevuto obiezioni dal Comitato di revisione della fine della vita, che indaga su ogni morte.
Secondo la cancelleria, sono state presentate «un numero molto limitato di denunce», ma il Ministero ha dichiarato di non poter al momento divulgare ulteriori informazioni, sulle vittime, in particolare riguardo a età, problemi medici o etnia.
Le richieste dei pazienti devono essere valutate da due medici, con un terzo parere espresso da uno psichiatra, che viene richiesto se i medici hanno delle riserve sulla competenza del paziente.
Secondo il Ministero, nessuna delle 56 persone che hanno ricevuto accertamenti da parte dei medici, ha avuto bisogno dell’accertamento dello psichiatra. In tutta la Nuova Zelanda, sono 130 i medici che si sono registrati per eseguire la «morte assistita».
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