«La giornata mondiale dell’alimentazione è una ricorrenza che si celebra ogni anno in tutto il mondo il 16 ottobre per ricordare l’anniversario della data di fondazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, comunemente conosciuta come FAO, istituita a Québec il 16 ottobre 1945».
La Giornata fu stabilita dai Paesi membri della FAO durante la ventesima Conferenza generale dell’organizzazione, nel novembre 1979, per sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto al problema della povertà, della fame e della malnutrizione nel mondo, rispetto alla sicurezza alimentare e per contribuire alla diffusione di diete corrette e nutrienti per l’intera popolazione mondiale. «L’obiettivo principale è incoraggiare le persone, a livello globale, ad agire contro questi problemi».
Il tema specifico di quest’anno è naturalmente la sostenibilità ambientale, al motto «Our actions are our future», in allineamento perfetto con gli obiettivi dell’Agenda 2030 promossa dall’Organizzazione per le Nazioni Unite (ONU), nuova religione degli Stati e dell’Europa.
Più semplicemente, unendo la necessità di sfamare correttamente l’intera popolazione mondiale e quella di non sfruttare indiscriminatamente le risorse del pianeta, partendo come si diceva dalle singole azioni quotidiane di tutti a contributo di quest’opera meritoria, la prima cosa che viene in mente è «non sprecare». Non sprecare il cibo, nello specifico.
Le nonne lo sapevano già molto tempo fa, in Italia come altrove, costrette talvolta dalla fame oppure semplicemente per una forma mentis che considerava lo spreco di cibo, giustamente, alla stregua di un peccato.
Originano da qui tante ricette della tradizione popolare che consentivano il ricupero degli avanzi oppure un utilizzo oculato delle scorte della dispensa: «Sprecare era inconcepibile, in un mondo abituato a far tesoro delle proprie risorse, a valorizzarle fino in fondo», come spiega nel libro Il sugo della storia lo storico Massimo Montanari, docente nell’Università di Bologna e nell’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo.
Nella Penisola la carrellata delle ricette generate da questa mentalità intelligente e sensata è ampia: dalle torte di pane in mille maniere alle zuppe, in cui confluivano tutte le parti meno nobili (per non dire gli scarti…) delle verdure e delle carni (se c’erano…); dalla frittata di pasta, specialità soprattutto del Sud, ai canederli fumanti delle Alpi trentine; dalle polpette abruzzesi dal nome evocativo “pallotte cacio e ova” alla panzanella toscana a base di pane raffermo e pomodoro. Per citare solo pochi dei tantissimi esempi.
Oggi alcune iniziative anti-spreco fortunatamente sono attive per commercianti e ristoratori che desiderino donare le eccedenze delle proprie attività, a norma delle tante leggi che regolano il Belpaese.
Invece, molte delle tradizioni alimentari di ricupero di cui si diceva sono un poco perdute, sostituite da tanti pasti pronti monoporzione prodotti chissà dove e chissà come.
Ciò che soprattutto commuove, quando si abbia la fortuna di trovarsi sulla tavola una delle ricette della tradizione povera e della cosiddetta “cucina con gli avanzi”, è il gusto “di famiglia” che si avverte, la sensazione della cura e del conforto, dell’attenzione al desco per tutti e per ciascuno, in modo che ognuno si recasse con la pancia piena o una sportina con il cibo caldo a scuola, o al lavoro.
Conforta pure sapere, certamente, come oggi per fortuna spesso accade, che vi è cibo fresco nel frigorifero, ma il bip del forno a microonde che ha terminato di riscaldare le lasagne marca XY non è certamente paragonabile ad alcuna voce materna che chiami a tavola.
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