Last updated on Giugno 16th, 2020 at 03:29 am
Verde, talmente verde da sembrare rosso. Quello tra ambientalismo e ideologia di sinistra è ormai un connubio consolidato. Almeno nell’immaginario collettivo, chi è sensibile alla tutela dell’ambiente non può che avere un’estrazione politica progressista. Eppure una simile equazione è tutt’altro che giustificata. La difesa dell’ambiente affonda le radici (anche) nel retroterra culturale del conservatorismo. Del resto si tratta di Conservare la Natura, come suggerisce il nuovo libro di Francesco Giubilei, editore e fondatore del think tank Nazione Futura, inserito da Forbes tra i 100 giovani under 30 più influenti d’Italia. “iFamNews” lo ha intervistato.
Difesa dell’ambiente appannaggio della Sinistra globalista, mentre alla Destra apparterrebbe il negazionismo dei cambiamenti climatici e della necessità di ridurre l’inquinamento. Come uscire da questa polarizzazione indotta dai media?
Se ne esce partendo dal presupposto che il tema dell’ambiente riguarda tutti i cittadini, a prescindere dall’ideologia. È vero, negli ultimi anni, parallelamente all’interesse crescente verso questo tema, si è assistito alla sua monopolizzazione da parte di una certa area politica. Ma ciò non ha riscontro storico. Nel libro cerco di raccontare come la cultura dell’ambiente da parte dei conservatori risalga ai culti pagani e, passando per il cristianesimo, arrivi fino al pensiero conservatore che si è sviluppato nell’Ottocento e nel Novecento. Dunque, da destra, si possono criticare Greta Thunberg e i Friday’s for Future senza per questo essere contro la tutela dell’ambiente.
Cosa differenza la cura dell’ambiente dei conservatori dall’ecologismo progressista oggi in voga?
La differenza sostanziale risiede nel fatto che, per i conservatori, le esigenze dell’ambiente debbono essere coniugate con quelle dell’uomo. Al contrario, nella visione dell’ambientalismo ideologizzato di stampo globalista, l’uomo è identificato come un nemico della natura. E questo, anche in una prospettiva cristiana, è inaccettabile.
Nel libro racconti che all’inizio degli anni 1970 la Sinistra italiana rifiutava la cultura ambientalista. Il Partito Comunista Italiano (PCI) arrivò persino a definirla, sprezzantemente, «scienza borghese». Poi cos’è cambiato?
L’Italia è un caso particolare. Qui l’interesse verso certi temi si è sviluppato in ritardo rispetto ad altri Paesi europei, perché fino agli anni 1960-1970 l’Italia era connotata da una forte dimensione agraria, con una presenza esigua di industrie e tanti piccoli borghi piuttosto popolati. Da noi avvenne cioè allora quanto oggi sta avvenendo in certi Paesi in via di sviluppo, che danno più importanza alla creazione di nuovi posti di lavoro che non alla tutela dell’ambiente. Il PCI teneva insomma più al lavoro dell’operaio che al verde. Oggi il paradigma si è però invertito: la Sinistra, diventata radical chic e globalista, non tiene più in considerazione le esigenze sociali dei lavoratori, ma è disposta a sacrificarle in nome di un ambientalismo radicale. In realtà si possono invece tutelare sia le esigenze economiche sia quelle dell’ambiente. Ma è un percorso che ha bisogno di tempo e che passa anche attraverso la riconversione delle fabbriche.
La Destra è responsabile di avere abdicato?
Parlare di Destra in modo univoco è complicato. Esistono varie correnti. Il mondo liberale, che ha una tradizione moderata, e anche quello cosiddetto “liberista” hanno sempre anteposto le esigenze imprenditoriali. Per i conservatori non è così: accettano il libero mercato, ma declinato in valori etici, compreso il valore del rispetto della natura. Dunque ben vengano il libero mercato e l’industrializzazione a patto che non devastino la natura.
Spesso l’ecologismo si accompagna a una colpevolizzazione dell’uomo. Taluni arrivano persino a professare l’estinzione umana come soluzione all’inquinamento. Una tale radicalizzazione raccoglie consenso, specie tra i giovani. Come lo spieghi?
Nel libro parlo del movimento Extinction Rebellion, che fa presa per via della propria carica rivoluzionaria. Ma è una rivoluzione di stampo giacobino, che per realizzare determinati obiettivi vuole sovvertire valori alla base della società, come l’identità e le comunità locali. I suoi fautori considerano l’uomo un nemico, sposano il neo-malthusianesimo e arrivano persino a considerare il grave calo della natalità delle società occidentali come un elemento positivo. Per i conservatori è vero l’opposto: il filosofo inglese Roger Scruton (1944 – 2020) spiega che, prima ancora che dalle strutture sovranazionali, la tutela dell’ambiente nasce dalle comunità locali: dal rispetto per il parco e dalla pulizia delle strade sotto casa.
C’è legame tra denatalità, consumismo e inquinamento atmosferico? Nel tuo libro citi l’economista Ettore Gotti Tedeschi, che sostiene questa tesi…
La perdita di importanza della famiglia nella società e il calo delle nascite hanno senz’altro creato uno scompenso. L’uomo occidentale ha quindi tentato di sostituire questi beni affettivi con altri beni, materiali, finendo in un vortice di consumismo che implica una produzione ingente, che a propria volta provoca inquinamento.
Il Green Deal della Commissione Europea è l’opportunità per i conservatori europei di riappropriarsi politicamente dei temi ambientali o è solo propedeutico all’ideologia ambientalista globalista?
È un’opportunità. Il tema è oggi importante e lo sarà ancora di più nel futuro prossimo. L’Unione Europea vincola l’Italia a usare parte dei fondi del Recovery Fund come risorse per l’ambiente. E poi le nuove generazioni hanno una sensibilità spiccata verso l’ambiente. O, su questi temi, il Centrodestra propone loro un’agenda alternativa a quella globalista, oppure la Sinistra, così come è avvenuto in passato, consoliderà la propria egemonia culturale.
Commenti su questo articolo