Last updated on aprile 10th, 2020 at 07:17 am
Non voglio e non posso credere che il male sia lo stato normale dell’uomo
Fëdor Michajlovič Dostoevskij
La Serbia è il Paese più grande dell’Europa sudorientale e, secondo i parametri più odiosi, non è indietro rispetto a nessuno: ha un tasso di crescita negativo e la sua popolazione sta diminuendo di quasi 40mila persone all’anno. L’età media è di 43,2 anni. Secondo l’Ufficio statistico serbo, nel 2018 sono stati celebrati 36mila nuovi matrimoni con un’età media dello sposo di 34 anni e di 31 per la sposa. Il fatto che la società stia attraversando una crisi grave è dimostrato dal fatto che si registrino 275 divorzi ogni mille matrimoni. Mentre è noto che la media di due bambini per donna non sia sufficiente a raggiungere il tasso di sostituzione necessario a conservare la popolazione di un Paese, quello della Serbia è attestato a 1,48.
Le statistiche tristi non finiscono qui. Il numero ufficiale degli aborti serbi è circa 17mila all’anno, ma i dati non ufficiali portano questa cifra desolante a un apocalittico 150-200mila. Negli ospedali pubblici l’aborto costa 35 euro, mentre nelle cliniche private varia da 50 a 500. Se i dati ufficiosi sono corretti, e molte sono le ragioni per credere che lo siano, ne risulta che in Serbia una donna su cinque ha un aborto ogni anno. La legge consente alle 16enni di abortire senza il consenso dei genitori. T-shirt e quaderni con immagini di personaggi dei cartoni animati, comuni tra le adolescenti, affermano che a quell’età si è già maturi per prendere decisioni come queste, che cambiano la vita.
Per secoli la Serbia è rimasta ancorata alla tradizione, che ha posto in primo piano la famiglia naturale. Oggi è un Paese in cui l’85% della popolazione è composta da cristiani ortodossi, il 5% da cattolici, il 3% da musulmani e l’1% da protestanti, con un primo ministro, Ana Brnabić, apertamente lesbica, che promuove spudoratamente l’«ideologia di genere». Naturalmente un primo ministro così non è stato affatto eletto: il popolo è stato ingannato e la Brnabić è stata imposta dall’alto, da chi cerca in tutto il mondo di sostituire la cultura della vita con la cultura della morte.
Nel Paese serpeggia già anche il problema dell’eutanasia, non ancora legale, ma incorporato nella bozza del nuovo Codice civile. Con 60mila persone che emigrano ogni anno dalla Serbia in cerca di una vita migliore, si può affermare senza essere smentiti che, in senso demografico e sociale, i serbi si sono eutanasizzati da soli.
La società e i media nascondono abilmente i pluriennali problemi dell’alcol, del tabacco e delle dipendenze dal gioco d’azzardo (ma anche il problema, più recente, della dipendenza da Internet) che stanno svolgendo un ottimo lavoro nel disintegrare la sanità della famiglia. Altre numerose forme di vizio vengono pubblicizzate come stili di vita e le droghe sono facilmente disponibili persino nei cortili delle scuole. I media sono inondati da reality show fatti di intrattenimento a buon mercato e d’irresponsabilità egoistica verso la salute e la vita delle persone, per non parlare delle conseguenze che questi comportamenti hanno sulla società nel suo insieme, laddove il loro unico obiettivo è quello di ricavare profitti enormi e facili. La responsabilità sociale e l’attenzione educativa, in particolare nei confronti dei bambini e dei giovani, sono praticamente inesistenti.
Quando a tutto ciò si aggiunge l’incertezza economica dei cittadini, la corruzione e il crimine su ogni fronte, le ferite non sanate delle recenti guerre civili che hanno sconvolto i Balcani, la scarsa libertà di cui gode la religione e il sequestro delle proprietà della Chiesa ortodossa serba in Montenegro, l’ingegneria sociodemografica operata dai nuovi potentati liberal del mondo responsabili della crisi legata all’immigrazione e i disordini sociali e politici che continuamente si verificano nella regione, è chiaro che in Serbia la famiglia viva sotto minaccia costante e che la prospettiva della vita familiare sia, per i giovani, la scelta meno allettante.
L’allarme risuona da parecchio e nessuno può indietreggiare. Molti Paesi, in Europa e non, hanno rifiutato le bugie sulla sovrappopolazione e i progetti di ingegneria demografica proposti dal nuovo mondo liberal. Il mondo ha sempre bisogno di brave persone: non ce n’è mai a sufficienza. L’unica soluzione per tutti, a qualsiasi latitudine, è unire le forze e rimettere il modello sociale familiare al suo posto, in primo piano. È una battaglia che chiede a ognuno di fare la propria parte: a ognuno di noi come componente sano dell’umanità, come essere umano creato a immagine e somiglianza di Dio, indipendentemente da ciò che ci differenzia. Sono quindi onorato e orgoglioso di far parte del team guidato da Brian Brown e dall’International Organization for the Family in questa drammatica battaglia per la vita, che mira a ripristinarne il valore nella comunità.
Di recente l’amato patriarca serbo Pavle ci ha rivelato il grande segreto della gioia della vita con queste sagge parole: «Quando una persona nasce, il mondo intero si rallegra e solo lui piange. Che possa vivere una vita tale per cui, quando morirà, il mondo intero pianga e solo lui si rallegri».
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