Il registro per il riconoscimento del genere di elezione, dedicato alle persone transgender, sarà istituito a Milano, prima città in Italia come sottolinea il consigliere Monica Romano, del Partito Democratico (PD), «prima donna transgender eletta» nel capoluogo lombardo, che ha presentato la mozione approvata ieri nel Consiglio Comunale.
Fino a oggi, i documenti di riconoscimento delle persone transgender riportavano il loro nome come risultante all’anagrafe e il sesso biologico alla nascita. Da ora in poi, invece, la mozione impegna il sindaco Giuseppe Sala e la Giunta a istituire un registro dove venga riconosciuto il genere di elezione, il cosiddetto alias, per i documenti di competenza del Comune, per esempio le tessere delle biblioteche comunali, gli abbonamenti per i mezzi pubblici dell’Azienda Trasporti Milanesi (ATM), i documenti di riconoscimento interni per i dipendenti del Comune medesimo e per quelli delle aziende partecipate.
«Non sono affatto stupito», commenta Matteo Forte, consigliere comunale dell’opposizione, docente di storia e filosofia. «L’approvazione della mozione del PD dovrebbe anzi aprire una riflessione. È dal mese di gennaio che nel Consiglio comunale non si tratta d’altro che di queste questioni. Non si parla dello stadio Meazza, se rimodernarlo o rifarlo dalle fondamenta, né delle Olimpiadi invernali del 2026 a Cortina da preparare, né del PNRR. No, di tutto ciò sembra non importare a nessuno. Si dibatte ogni giorno esclusivamente di tematiche LGBT+» .
Per quanto riguarda il registro, una volta istituito esso consentirà alle persone transgender di autoidentificarsi nel sesso percepito con una semplice dichiarazione resa a un ufficiale di stato civile, che altrettanto semplicemente certificherà tale autopercezione, sancendo così in toto il principio dell’autodeterminazione di genere, ciò che il mondo anglosassone definisce «self-id» e che genera perplessità e polemiche anche nel Regno Unito.
«L’alias esiste da tempo», continua il consigliere Forte, «ma per uso interno, per esempio in alcuni istituti scolastici o università. Ora invece si tratterebbe di un ente pubblico, che pubblicamente riconosce una rettifica del sesso che ancora non esiste nella normativa».
Matteo Forte è persuaso che si tratti della «ennesima bandierina ideologica, senza ricadute amministrative», da fissare sulla mappa, ma che vuole aprire la strada a decisioni più impegnative.
«Non è previsto dalla legge che un pubblico ufficiale riconosca l’identità di una persona come “altra”, senza una verifica, senza un’indagine, semplicemente prendendone atto, non è proprio possibile. Ma immaginiamo le conseguenze, si creerebbe il caos. Farebbe ridere, se non fosse una cosa seria: pensiamo banalmente a come potrebbe fare l’ATM per controllare la regolarità di un abbonamento!».
C’è poco da ridere, in effetti, come afferma il consigliere Forte, «la prima vittima di posizioni ideologiche di questo tipo è la certezza del diritto, compromessa dal caos delle rivendicazioni».