Last updated on Settembre 25th, 2020 at 01:42 am
Che gli abortisti abbiano pienamente ragione si è già dimostrato: laddove l’aborto sia ammesso dalla legge, anche la cosiddetta «eutanasia neonatale» – più onestamente un infanticidio – non dovrebbe essere negata, perché tra feto e neonato non c’è differenza.
Se tale affermazione un tempo poteva far leva su un senso comune ancora propenso a dar valore alla vita del neonato, oggi ci si trova drammaticamente a fare i conti con la reazione contraria, come dimostra un sondaggio pubblicato sul periodico Acta Obstetricia et Gynecologica Scandinavica (AOGS): medici e altri professionisti sanitari nelle regioni di lingua neerlandese del Belgio disposti a fare aborti tardivi sarebbero favorevoli alla legalizzazione dell’infanticidio.
Nove su dieci ammazzerebbero attivamente un neonato
Quasi nove intervistati su dieci – si parla dell’89,1% ‒ degli operatori che praticano interruzioni di gravidanza tardive «concordano sul fatto che, in caso di condizione neonatale grave (non letale), la somministrazione di farmaci con l’intenzione esplicita di porre fine alla vita neonatale è accettabile». Così come, senza tante remore, una percentuale molto simile – l’85,6% ‒, anche di fronte a diagnosi «poco chiara e prognosi imprevedibile», considera l’aborto a termine – cioè praticato fino al momento del parto – una soluzione adeguata. Non sapendo insomma esattamente come andrà a finire, meglio “terminare” la vita dell’individuo prima che inizi “ufficialmente”. Si può sempre ritentare, sperando di essere più fortunati con una successiva gravidanza: come i lettori di “iFamNews” già sanno, un bambino vale l’altro secondo teorie etiche sempre più drammaticamente diffuse e accettate.
Purtroppo, anche se non stupisce particolarmente venirne a conoscenza, tra gli operatori sanitari intervistati – abitanti nelle Fiandre e già implicati in procedure di aborto tardivo – la maggior parte «condivide l’opinione secondo cui la legge dovrebbe essere cambiata per facilitare le decisioni di fine vita neonatale in condizioni gravi. Questa è una considerazione che i legislatori belgi dovrebbero esaminare». Laddove «facilitare le decisioni» coincide drammaticamente con il “rendere legalmente più semplice la soppressione di una vita umana”, non c’è quasi bisogno di specificarlo…
A onore del vero, in Belgio questa posizione non è accettata uniformemente. Esistono infatti significative differenze culturali fra le tre regioni, Fiandre (di lingua neerlandese), Vallonia (di lingua francese) e Bruxelles (mista), laddove le Fiandre, la zona più ricca, costituiscono circa la metà della popolazione, la Vallonia un terzo e Bruxelles il resto.
Attualmente esiste un’unica legislazione comune per il Paese, anche se pare che i sentimenti della popolazione su aborto ed eutanasia non siano affatto omogenei. Se nelle Fiandre si tende a seguire la tendenza dei vicini Paesi Bassi, aperti a una liberalizzazione sempre più ampia delle politiche eutanasiche, uno studio sugli atteggiamenti e sulle esperienze dei medici belgi riguardo la pratica dell’eutanasia e la legge sull’eutanasia stessa rileva come «i medici della Vallonia hanno più spesso convenuto che in nessun caso avrebbero praticato l’eutanasia ed erano più disposti a eseguire una sedazione profonda continua invece dell’eutanasia rispetto a quelli delle Fiandre e di Bruxelles».
Il protocollo di Groningen
Wesley J. Smith , bioeticista e collaboratore del periodico conservatore statunitense National Review, ha inoltre criticato pesantemente gli esiti dello studio pubblicato da AOGS, con riferimento al fatto che «medici tedeschi sono stati impiccati a Norimberga per avere ucciso bambini disabili», laddove ora il medesimo atto non solo è accettato con indifferenza, ma se ne promuove la “normalizzazione” nel cosiddetto “Protocollo Groningen”, dal nome della cittadina neerlandese dove un ospedale pediatrico consente ai medici di porre fine alla vita dei bambini nati con disabilità.
Secondo lo studio di AOGS, la vasta maggioranza dei medici e dei professionisti intervistati, che attualmente si occupano di neonati nella più ricca e popolosa regione del Belgio, sostengono l’aborto di feti vitali che sopravvivrebbero con una disabilità e alcuni abortirebbero anche feti sani. Senza significativa distinzione tra aborto tardivo e vero e proprio infanticidio.
Ciò che è più grave, però, non è la risposta alle ipotetiche domande di un sondaggio, quanto piuttosto l’ultima sottolineatura dell’abstract del medesimo studio: «altre ricerche dovrebbero esplorare la correlazione tra gli atteggiamenti verso l’interruzione tardiva della gravidanza e le effettive decisioni mediche prese nella pratica clinica quotidiana». Quale madre sarebbe tranquilla, infatti, sapendo che il suo fragile bambino appena nato è nelle mani di un medico che non si farebbe alcun problema nel porre fine alla vita di un neonato?