Last updated on Settembre 3rd, 2020 at 10:31 am
Continuano a far discutere le nuove linee guida annunciate dal ministro della Salute, Roberto Speranza, a proposito della pillola Ru-486. Dopo che, attraverso un tweet, il capo del dicastero ha annunciato che l’aborto farmacologico potrà avvenire fino alla nona settimana in day hospital (ossia senza l’obbligo di ricovero), si è mobilitato il mondo dell’associazionismo per evitare quella che viene definita una «banalizzazione» di un atto così cruento.
La lettera
Un’iniziativa è stata lanciata ‒ in collaborazione con l’Osservatorio di Bioetica di Siena, il Tavolo Permanente per la Famiglia della Regione Veneto e ProVita&Famiglia ‒ dall’Associazione Non Si Tocca la Famiglia. Si tratta di una e-mail da inviare al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al ministro della Salute, Speranza, e al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, per «riconoscere con un atto pubblico» una serie di dati, tra cui le implicazioni dovute all’interruzione volontaria di gravidanza.
«L’aborto non è una mestruazione un po’ forte»
«La lettera nasce da una riflessione che ho fatto insieme a Rachele Sagramoso, ostetrica e madre di sette figli», spiega a “iFamNews” Giusy D’Amico, presidente di Non Si Tocca la Famiglia. «Abbiamo pensato che fosse necessario anzitutto chiedere al ministro Speranza un passo indietro rispetto a una normativa che lascia sole le donne di fronte al dramma dell’aborto per mere ragioni di risparmio per le casse dello Stato», prosegue, «ma non solo: abbiamo pure ritenuto opportuno chiedere che si faccia chiarezza sulle conseguenze psico-fisiche che comporta l’aborto. Anche perché sono tante le donne che, dopo avere abortito, maturano sentimenti di pentimento, forti crisi, panico e che vorrebbero parlarne pubblicamente». La D’Amico ritiene siano tanti e radicati i luoghi comuni sull’aborto: «Non è vero che sia una banale mestruazione un po’ più abbondante e che provochi una semplice emorragia: è diritto delle donne sapere a cosa si va incontro».
Informazione a senso unico
Gli organizzatori dell’iniziativa lamentano un’informazione a senso unico nei confronti delle donne sul tema dell’aborto. «Chiediamo dunque», spiega la D’Amico, «che venga dedicato spazio alla cultura della tutela e della protezione dall’aborto, che venga posta attenzione al nascituro. Invece, fino ad oggi, soprattutto nei confronti delle giovani si assiste a una diffusione degli anticoncezionali e alla promozione di un atto che la stessa Legge 194/78 considera una extrema ratio da prevenire».
Partire dalle scuole
Il cambio di paradigma culturale, si chiede, dovrebbe avvenire anzitutto dai banchi di scuola, «laddove si effettuano corsi e incontri di educazione sessuale in cui si propugna l’aborto». Ecco, dunque, che la lettera destinata al capo dello Stato, al ministro della Salute e al presidente del Consiglio chiede «il diritto di leggere e ascoltare tramite ogni mezzo (televisivo e tramite giornali femminili) tutte le vicende che riguardano le donne che hanno fatto ricorso all’aborto e poi si sono pentite».
Un ruolo determinante lo giocano le immagini, così si afferma «il diritto di poter vedere manifesti contenenti immagini dello sviluppo embrionale e di tutte le associazioni che offrono sostegno alla maternità». Del resto, prosegue la missiva, quello di venire al mondo «è diritto di ogni bambino». Infine si pone l’accento sulla funzione sociale della maternità, chiedendo l’affermazione del «diritto di ascoltare da rappresentanti della salute pubblica e da politici dello Stato, che il ruolo sociale e culturale della donna madre è fondamentale per tutta la cittadinanza, oltre che essere un privilegio per ogni donna».
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