Non si dovrebbe nemmeno ripeterlo. La libertà religiosa è un bene così primario, e origine di altri diritti fondamentali, che dovrebbe essere garantita sempre e comunque come secondo dei diritti umani fondamentali. Il primo resta – ovviamente – il diritto alla vita.
Eppure non è così. Non è così perché capita che in diverse parti del mondo massimamente lo Stato, ma pure Chiese o gruppi o realtà religiose concorrenti conculchino, laddove maggioritarie, questo diritto inalienabile alla verità, o apertamente con la violenza oppure attraverso una violenza più surrettizia.
Del resto spesso distinguere tra persecutori, vuoi lo Stato, vuoi una realtà religiosa concorrente e maggioritaria, ha, al lato pratico, poco senso. È infatti il potere dello Stato quello in grado di controllare “la stanza dei bottoni” ed è quindi sempre appoggiandosi allo Stato, in una forma particolare ma non meno antipatica di consociativismo, che certe realtà religiose hanno, se vogliono, la forza concreta di discriminare. Dunque, siamo sempre lì: appena può lo Stato opprime le libertà fondamentali della persona.
Oggi nel mondo circola il CoViD-19 e il CoViD-19 è una scusa ottima per limitare la libertà religiosa. Sì, avete letto bene una scusa. Non ho scritto che il CoViD-19 è una scusa in sé: ho scritto che il CoViD-19 diventa una scusa comoda contro la libertà religiosa.
Di fatto gli Stati stanno adoperando il terrore della pandemia per limitare la libertà di culto, ovvero l’accesso alle funzioni religiose. La libertà religiosa sta a monte della libertà di culto, ma – come abbiamo scritto più volte –, se la libertà di culto è parte preferibile, importante o addirittura vincolante dell’espressione concreta di una fede, limitare la libertà di culto non è chiedere al fedele di fare per un po’ a meno di un optional e concentrarsi sulla sostanza, bensì significa colpire direttamente il proprium di una fede.
Il CoViD-19 fa paura, certo. Di CoViD-19 si muore. Quindi la cautela è necessaria? Ovvio. Ma un conto è la cautela, un altro è l’oscuramento: la prima funziona bene con l’intelligenza e la maturità, per il secondo basta la forza bruta.
Ora, stante che oramai tutti, a un anno di distanza dallo scoppio conclamato dell’epidemia, sanno quali sono le regole sanitarie da seguire (che per la maggior parte sono le regole di buona creanza e di igiene che andavano seguite pure prima perché vanno seguite sempre), il culto pubblico può e deve essere permesso in toto con savia organizzazione.
Si dirà che però c’è sempre qualche sciocco che, infischiandosene, mente a repentaglio la comunità intera, giustificando limitazioni e chiusure. Bugia.
Se uno è così sciocco da infischiarsene del prossimo violando le regole sanitarie quando accede alle funzioni religiose non è certo chiudendo chiese, sinagoghe, templi e comunità per tutti che si insegnerà a quel tipo il buon senso. Non è come all’asilo che se Mario fa il birichino in giardino non ci va nessuno. Se il nostro “Mario” troverà infatti chiusi i luoghi di culto, la sua sciocchezza la porterà a fare una passeggiata in centro, seminandola in strada, sui mezzi pubblici, nei locali, e così via.
Quindi o si chiude ermeticamente tutto, comprese le persone, in un carcere dorato di cui la chiave è già stata gettata via, oppure si fa come sempre: si fa il possibile e per il resto «Insciallah». Pare invece che molti amino essere diretti, controllati, manovrati. Come se avessero paura della propria maturità, della propria responsabilità, della propria libertà. Come se non avessero mai tolto il grembiule dell’asilo. Sopravvivere reclusi per poi morire di stenti in una segreta non vale la pena. Ecco, sono arrivato al dunque: vivere si deve, non soltanto sopravvivere. Nel vivere va messo in conto che una volta nella vita si muore. Del vivere fa parte la saggezza del non cercare per sé guai inutili, ma nemmeno per il prossimo. E con il vivere viene pure quella parte essenziale che è l’aria per respirare. Giusto di questo parlo oggi: di quell’aria per respirare che si chiama libertà religiosa.