Last updated on Gennaio 28th, 2021 at 01:06 pm
Bene, archiviata la pagliacciata del deputato Emanuel Cleaver è tempo di dire quello che nessuno ha detto. Gli Stati Uniti d’America inaugurano le legislature del Congresso federale pregando. Lo fanno apertamente, pubblicamente, persino smaccatamente; non se ne vergognano, nessuno protesta e nessuno si offende; nessuno chiama il 911 o la neurodeliri e nessuno si straccia le vesti per lesa laïcité. Pregare è un gesto istituzionale e normale: così normale, così tanto normale che nessuno se n’è accorto. L’universo mondo ha deriso il deputato Cleaver per il modo della sua preghiera, ma nessuno ha messo in discussione il fatto della sua preghiera. Appunto come se si trattasse di cosa normale, come se la cosa fosse normale anche fuori degli Stati Uniti, persino per i solerti corazzieri del laicismo. E questa è una buona, ottima notizia. Si chiama libertà religiosa, per davvero.
Una storia lunga
Negli Stati Uniti il Congresso federale si inaugura con una preghiera perché il Congresso federale ha persino un cappellano, anzi ne ha due: uno per la Camera dei deputati e uno per il Senato. I cappellani rientrano infatti nel novero dei funzionari che le due Camere hanno il diritto e il dovere di scegliere (oltre al presidente, nel caso della Camera, visto che il presidente del Senato è automaticamente, a norma di Costituzione, il vicepresidente della Repubblica).
Il primo cappellano della Camera fu il reverendo William Linn (1752-1808), presbiteriano, nominato a quel rango il 1° maggio 1789 dopo che il primo Congresso federale si era insediato il 4 marzo, data dell’entrata in vigore della Costituzione. Il compito precipuo del cappellano della Camera è quello di aprire ogni giorno i lavori dell’aula con la preghiera, e per questo compito viene pure pagato.
La nomina del primo cappellano del Senato fu una delle priorità che la “Camera alta” si diede e il 25 aprile 1789 scelse Samuel Provost (1742-1815), vescovo episcopaliano di New York: all’epoca il Congresso si riuniva infatti a New York (si spostò a Filadelfia nel 1790 e poi a Washington nel 1800). Il cappellano del Senato organizza anche incontri, ritiri e momenti di socialità per i senatori e le loro famiglie.
Queste nomine pre-datano però la Costituzione stessa; anzi, la stessa indipendenza degli Stati Uniti, ovvero la nascita del Paese stesso. Il Congresso continentale, ossia l’organo deliberativo delle colonie britanniche dell’America Settentrionale che si riunì la prima volta il 5 settembre 1774, cioè prima della Dichiarazione d’indipendenza del 4 luglio 1776, nominò subito un proprio cappellano, individuandolo nella figura del reverendo Jacob Duché (1737-1798), episcopaliano. Fu Duché che, il 7 settembre, recitò la prima preghiera del e nel Congresso continentale riunito nella Carpenter’s Hall di Filadelfia, la più antica corporazione nordamericana di arti e mestieri, sede allora di quell’assemblea legislativa dove poi fu proclamata l’indipendenza.
Prega anche la Casa Bianca
Naturalmente si prega pubblicamente anche all’insediamento di ogni presidente e di ogni vicepresidente federali (è così dal 1937), i quali giurano di rispettare la Costituzione ponendo una mano sul cuore e l’altra sulla Bibbia.
Esiste quindi il Presidential Prayer Team, che dal 2001 accompagna la presidenza federale, qualunque presidenza federale, con la preghiera e nel cui logo figura la famosa immagine del padre della patria George Washington (1732-1799) inginocchiato a pregare nella neve a Valley Forge, in Pennsylvania, nel terribile inverno 1777-1778. Esiste il National Prayer Breakfast, che dal 1953 raduna dignitari e capi di Stato del mondo per pregare e discutere di temi di importanza globale: fino al 1970 si chiamava Presidential Prayer Breakfast. Accanto c’è anche il National Catholic Prayer Breakfast, nato in risposta all’appello per la «nuova evangelizzazione» lanciato da Papa san Giovanni Paolo II (1920-2005) e frequentato da politici conservatori non solo cattolici (per esempio il presidente George W. Bush Jr. nel 2005, 2006, 2008 e 2009). E ancora esiste il National Day of Prayer, osservato ogni primo giovedì di maggio: è il giorno per il quale il Congresso federale chiede ai cittadini statunitensi di rivolgersi a Dio con la preghiera e con la meditazione, previo il fatto che il presidente federale istituisca annualmente per iscritto la Giornata. Accade dal 1952, riprendendo la consuetudine di giornate di preghiera e di digiuno osservate dal secondo Congresso continentale (cioè sempre prima dell’indipendenza).
Per i cattolici, che qualcuno magari ancora ritiene “un po’ meno americani degli altri”, il sito Internet della Conferenza episcopale degli Stati Uniti dedica riserva una pagina di formulari da recitarsi all’insediamento del presidente della repubblica federale, ma soprattutto la preghiera, tratta dal Book of Blessings ufficiale, che adatta all’oggi quella composta dall’arcivescovo cattolico John Carroll (1735-1815), il primo vescovo della più antica diocesi degli Stati Uniti, Baltimora, per l’insediamento del primo presidente federale, l’episcopaliano Washington, il 30 aprile 1789. E Carroll ne compose pure un’altra, per la nazione, le sue guide politiche e la Chiesa, il 10 novembre 1791.
Dio è con noi
Ebbene, con tutto questo armamentario in bella vista gli Stati Uniti d’America restano un Paese laico, libero e democratico. Forse tali sono proprio per quello. Dio lì non fa infatti paura a nessuno, fa persino parte dello scenario politico, circola fra i cittadini, si aggira fra i banchi degli uomini politici, bussa alla Casa Bianca e il sottoscritto ha pure l’impressione che ogni tanto voti. Hanno mille difetti, gli Stati Uniti, da condannare tutti e ciascuno, ma non quello di avere paura della natura intrinsecamente religiosa dell’essere umano e del suo sacrosanto diritto politico a vivere e a esprimere pubblicamente la fede. Persino i liberal non eccepiscono, persino noi laiconi non ci siamo accorti del dato più significativo della pagliacciata Cleaver. No, non è vero che tutto il mondo è Paese.