Ogni scusa è buona per mettere assieme cause apparentemente fra loro scollegate, come per esempio il cambiamento climatico e i “diritti” LGBT+. È quanto sta avvenendo con le pressioni esercitate da Unione Europea e Stati Uniti d’America nei confronti dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. L’obiettivo di alcuni delegati europei e statunitensi è infatti far aggiungere riferimenti a «orientamento sessuale e identità di genere» e «persone LGBT+» alla bozza di accordo della Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne.
Secondo le delegazioni progressiste che promuovono la causa dei “diritti” LGBT+ non è sufficiente concentrarsi sull’impatto dei cambiamenti climatici e di altri disastri sulle sole donne. È quindi loro premura assicurarsi che, sotto la rubrica «genere», le agenzie delle Nazioni Unite abbiano anche il mandato di progettare politiche e programmi internazionali specifici per le persone omosessuali, transessuali e «fluide».
La scusa è sempre la stessa: le persone caratterizzate da «orientamenti sessuali, identità nonché espressione di genere e caratteristiche sessuali diverse» sarebbero «maggiormente a rischio di violenza di genere» e di «discriminazione» quando cercano di accedere ai programmi di «protezione e di assistenza che seguono ai disastri», si legge in una dichiarazione dei delegati di Unione Europea, Stati Uniti e di altri 37 governi facenti parte del «LGBT Core Group», blocco negoziale che agisce nei confronti delle Nazioni Unite.
Fino a 100 miliardi di dollari
All’apertura della Commissione annuale sulla condizione delle donne l’«LGBT Core Group» ha del resto richiesto un quadro globale «per il monitoraggio e per la rendicontazione delle politiche e dei programmi sui cambiamenti climatici sesnibili al genere, nonchè per la riduzione del rischio di catastrofi».
Per il 2022 le conclusioni concordate della Commissione, che si riunisce ogni anno a marzo, sono insomma incentrate sull’«uguaglianza di genere» e sull’«emancipazione di tutte le donne e di tutte le ragazze nel quadro dei cambiamenti climatici, nonché delle delle politiche e dei programmi di riduzione del rischio ambientale e di catastrofi».
Peraltro anche secondo i rapporti dell’Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica collegare il gender alle politiche sui cambiamenti climatici aiuterebbe i gruppi femministi e LGBT+ ad avere l’accesso fino a 100 miliardi dollari in finanziamenti globali annuali per il clima.
Linguaggio criptico come cavallo di Troia
Le proposte per includere il linguaggio relativo alle persone LGBT+ nel progetto di accordo della Commissione – definito «conclusioni concordate» – non si limitano però a riferimenti espliciti a «orientamento sessuale e identità di genere» e «persone LGBT+». Infatti, terminologie così esplicite vengono spesso respinte dagli Stati membri e così le proposte delle delegazioni liberal includono termini ambigui quali discriminazione «multipla e intersecante» e linguaggio sulla «diversità»: una fraseologia più ambigua, che ha più probabilità di essere accettata nell’accordo finale.
Questi termini criptici, inseriti dal governo degli Stati Uniti, dall’Unione Europea e dai loro alleati,in diverse dozzine di paragrafi dell’accordo, vengono comunque già utilizzati dalle agenzie delle Nazioni Unite per aggiungere politiche e programmi specifici per LGBT+ in attuazione degli accordi esistenti.
Il linguaggio LGBT+ esplicito è stato ripetutamente rifiutato dagli Stati membri dell’ONU in occasione della passata Commissione, ma gli sviluppi recenti introducono la possibilità che il governo di Stati Uniti ed ’Unione Europea possano tentare di forzare un accordo con il riconoscimento di «orientamento sessuale e identità di genere» e di «persone LGBTQI+» nelle conclusioni concordate, in programma per la settimana prossima.
Il precedente c’è. A dicembre l’Assemblea generale dell’ONU ha adottato all’unanimità, per la prima volta, una risoluzione che include «orientamento sessuale e identità di genere».
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