Last updated on Febbraio 17th, 2020 at 04:18 am
Ci sono voluti decenni perché si costituisse una coscienza comune sui rischi che comporta fumare il tabacco, una lezione utile anche sul fronte della cannabis anche se sembriamo condannati a ripercorrere gli stessi errori. È di questo avviso il prof. Girolamo Sirchia, ex ministro della Salute, da cui prende il nome la legge che nel 2005 vietò il fumo nei locali pubblici chiusi e grazie alla quale oggi ci sono un milione di fumatori in meno.
Recentemente si è infatti riaperto il dibattito sulla cannabis, e questo per effetto della sentenza della Corte di Cassazione la quale ha stabilito che la coltivazione di quantità minime di marijuana per uso personale non costituisce reato. Nonostante non siano ancora state pubblicate le motivazioni, Sirchia non ha dubbi: «Fumare una canna non fa bene, eppure ci si stiamo incamminando sulla stessa strada che ha permesso un largo consumo del tabacco».
Perché questo parallelismo tra tabacco e cannabis?
Parliamoci chiaro. I vantaggi medici del consumo di cannabis sono pochi. C’è una certa attività interessante verso le malattie convulsive dell’infanzia, ma non c’è evidenza scientifica riguardo alle neuropatie legate a spasmi muscolari, al Parkinson o alla sindrome di Tourette. All’origine di questo muscolare tentativo di promuovere il consumo di cannabis c’è il chiaro interesse a sdoganarla per motivi ludici, dunque liberalizzare il prodotto per fargli fare lo stesso percorso che ha fatto il tabacco: organizzare la raccolta e la vendita di sigarette di cannabis. Questa è la manovra che c’è dietro, con il rischio di fare danni oggi a tante persone per arricchire un domani le società del fumo.
Uno degli argomenti più frequenti a cui ricorre chi vuole liberalizzare la cannabis è che in fondo sia una droga leggera.
La distinzione fra droghe leggere e pesanti è utile per far passare la cannabis come prodotto innocuo, non dannoso. Coloro che propugnano un uso sociale della cannabis utilizzano gli stessi metodi usati da chi produce tabacco: fumarsi una canna o una sigaretta solleva dai problemi della vita, non fa male e non danneggia nessuno.
Negli ultimi anni si è osservato che il consumo di cannabis è aumentato tra gli adulti e parallelamente è diminuita l’età in cui i ragazzi cominciano a fumarla, verso gli 11/12 anni. Quali sono le ripercussioni sui giovani e sul tessuto familiare?
Chi usa periodicamente questa sostanza è più esposto a gravi ripercussioni e se è giovane si hanno danni maggiori perché il soggetto è ancora in fase di sviluppo. Le conseguenze sulla vita personale e familiare sono evidenti: scarso rendimento scolastico, comportamenti assenti o addirittura aggressivi a volte.
Quale è la responsabilità dei genitori?
Innanzitutto è difficile per i genitori convincere il proprio figlio a intraprendere impegni non ludici se questo fa uso cronico di cannabis. Ma il problema è più ampio: sia la famiglia che la scuola sono in grave difficoltà. La prima perché abbiamo pensato che fosse meglio essere amici dei nostri figli, perdendo il ruolo di autorità fondamentale per l’educazione di un giovane. Sul versante scolastico l’interferenza dei genitori nel compito degli insegnanti è arrivata a un punto tale per cui i professori vivono nel timore di essere denunciati da una famiglia se si permettono di redarguire i ragazzi. Il risultato è un sistema anarcoide in cui abbiamo rinunciato all’educazione delle future generazioni.
Perché un dodicenne incomincia a fumarsi le canne?
L’esperienza lo dice chiaramente: come per il tabacco, tutto comincia con l’iniziazione del gruppo. C’è sempre un soggetto ritenuto il leader da seguire da parte dei ragazzi, i quali, per paura di non essere all’altezza, seguono il cattivo esempio. È anche un modo con cui si pensa di riuscire a scappare ai problemi della vita, rifugiandosi nel nirvana della droga che nel frattempo disgrega il tessuto sociale. La potenza trainante del gruppo è enorme perché il gruppo si muove secondo modelli sociali artificiali.
Cosa intende per modelli sociali artificiali?
Chi guadagna dalla vendita di prodotti come la cannabis o come il tabacco costruisce modelli sociali creando una moda. Droga e fumo vengono venduti come modo per affrancarsi dal passato e viene diffuso il messaggio che solo fumando si è moderni, audaci, evoluti. Per le donne oggi fumare le canne diventa un riscatto di genere come lo è stato per le sigarette di tabacco. Negli anni 1970 la Philip Morris cercò di vendere le nuove sigarette Slim Virginia pensate per le donne attraverso una campagna di marketing in cui si vedeva una donna giovane, sorridente, bellissima che fumava liberamente mentre sullo sfondo un padrone di casa degli anni 1930 cacciava la moglie per aver fumato. Un messaggio chiaro.
Quale è il ruolo dello Stato in questa vicenda?
I modelli sociali promossi dai produttori di cannabis che, ripeto, hanno come unico interesse il proprio guadagno a discapito del benessere della società, non sono contrastati dalla classe politica. Lo Stato in generale è colpevole nella misura in cui non è in grado, o non vuole, realizzare efficienti campagne di marketing sociale per contrastare i cattivi comportamenti che fioriscono nella popolazione e che sono promossi appunto da specifici gruppi di interesse.
Rischiano di esserci gravi conseguenze per la salute pubblica?
Certamente, ma in Italia la salute pubblica è l’ultima cosa che preoccupa i governanti, ecco qual è il vero denominatore comune della classe politica odierna. Ci sono governi che hanno favorito il gioco d’azzardo e ora con la cannabis ci ricadiamo: uno Stato che non protegge ma danneggia la salute pubblica per incassare quattro soldi. Non credo che il gioco valga la candela.