Legittimo ammazzare

Le motivazioni dell’assoluzione di Cappato e Welby per la morte di Davide Trentini sono quanto di più disumano esista

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Il 27 luglio Marco Cappato e Mina Welby sono stati assolti dalla Corte di assise di Massa Carrara per il suicidio assistito di Davide Trentini (1964-2017), malato di sclerosi multipla da 23 anni. Il reato loro imputato era istigazione e aiuto al suicidio. Ieri sono state pubblicate le motivazioni della sentenza.

Anzitutto, l’assoluzione. Cappato e la vedova Welby sono stati assolti perché il fatto non sussiste. Non sono magistrato, avvocato o giurista. Sono un appassionato di realismo, pure fantastico. Dunque: un signore intende suicidarsi; non riuscendo a farcela da solo, chiede ad altri di aiutarlo; alla fine riesce a suicidarsi. Al di là dell’appropriatezza del verbo utilizzato, cosa significa che il fatto non sussiste? Nulla. Infatti bisogna ricorrere all’elaborazione letteraria. Ripeto, non sono magistrato, avvocato o giurista, ma mi sono sempre domandato perché fra l’emissione di una sentenza e la pubblicazione delle sue motivazioni debba intercorrere tempo, tanto tempo. Sì, scrivere (bene) chiede un po’ di ragionamento e di concentrazione; ma l’intervallo tra un giudizio e le sue ragioni fa sorgere in un profano totale e ignorante reo confesso quale il sottoscritto il sospetto che uno prima spari e poi si inventi la giustificazione a posteriori, cesellando di fino l’arrampicamento sui vetri. Al liceo lo si chiamava sofisma.

Ora, se di fronte a un signore che intenda suicidarsi, che non riesca a farcela da solo e che così chieda ad altri di aiutarlo, riuscendo alla fine a suicidarsi, il verdetto è che il fatto non sussiste, l’elaborazione letteraria che intercorre da quel momento alla pubblicazione delle motivazioni dev’essere degna di un vero artista. Bisogna cioè essere in grado di negare l’evidenza; e benché la cosa, da Cartesio in poi, sia diventata uno degli sport più praticati dal genere umano, per convincerne il prossimo ci vuole sul serio un gran pezzo di bravura. Quindi, leggiamo.

A più di due mesi di distanza dall’assoluzione di Cappato e della signora Welby, la motivazione addotta dai giudici è che nel caso Trentini «[…] sussistono tutti i requisiti della scriminante configurata dalla sentenza 242 del 2019». Fra questi figura il trattamento di sostegno vitale. Ora, per «sostegno vitale», dice la motivazione odierna della sentenza pronunciata più di due mesi fa, «[…] deve intendersi qualsiasi trattamento sanitario interrompendo il quale si verificherebbe la morte del malato anche in maniera non rapida». Già, rifletto io che non sono magistrato, avvocato o giurista, bensì un profano totale e un ignorante reo confesso: altrimenti quel «trattamento» non lo si definirebbe «sostegno vitale».

La sentenza succitata è quella che assolse Cappato nel caso del «suicidio assistito» di Fabiano Antoniani (1977-2017), alias Dj Fabo, tetraplegico. Io, che non sono magistrato, avvocato o giurista, bensì un profano totale e un ignorante reo confesso, ma amante del calembour, del paradosso e dei jeux de mots, plaudo al genio di chi è riuscito a celebrare alchemicamente le nozze, con tecnica da gran poeta ermetico, di due concetti opposti per distillarne un ossimoro tanto penetrato nei cuori e nelle menti di tutti, e nel vocabolario Treccani della lingua italiana, che nessuno lo discute più: «suicidio», cioè «il fatto, l’atto di togliersi deliberatamente la vita», dice il Treccani, e «assistito», da «assistenza», cioè «il prestare la propria opera o le proprie cure a chi ne abbia bisogno», dice sempre il Treccani. Insomma, il concetto di fare totalmente da sé… con un aiuto da casa.

Ora, quella sentenza Dj Fabo del 2019 «[…] dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) – ovvero, quanto ai fatti anteriori alla pubblicazione della presente sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, con modalità equivalenti nei sensi di cui in motivazione –, agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente». Tradotto per profani e ignoranti come il sottoscritto significa che è conforme alla legge fondamentale della repubblica italiana permettere che Tizio aiuti Caio a uccidersi se Caio è tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e colpito da patologia irreversibile.

Pazzesco, letteralmente pazzesco. Se uno ha bisogno di aiuto è lì che lo puoi ammazzare. Uso il calembour e il paradosso per fare capire quanto folle sia un’affermazione così.

Io, Marco Respinti, sono affetto da patologia irreversibile. Non ho mai pensato, infatti, di essere immortale, e prima o poi morirò. Come tutti. È la vita, se vogliamo, una patologia irreversibile. Se dunque mia suocera non mi cucinasse certi manicaretti, e mia moglie pure, cesserebbe il mio sostegno vitale. Significa allora che se domani il mio vicino di casa ritenesse di darmi una botta onde accelerare l’iter meriterebbe una medaglia?

Insomma, chi decide limiti, confini, misure? Chi decide quando e come? Ma soprattutto e anzitutto chi impedisce l’arbitrio totale, la gestione della vita per conto terzi, la sovranità limitata sulla propria esistenza, la sopraffazione dell’uno sull’altro? Nessuno. E i giudici italiani ora affermano che questo è ciò su cui l’Italia è fondata. Dove sono i liberali che dicono di tutelare l’individuo assoluto? Dove sono i socialisti che dicono di tutelare l’eguaglianza assoluta?

La sentenza Trentini del 2020 dice che Cappato e la signora Welby hanno agito nel solco di quanto stabilito dalla sentenza precedente. Quindi questo vale e varrà per qualsiasi altro caso, basta che un giudice vidimi esservi condizioni di «trattamenti di sostegno vitale» e «patologia irreversibile». Tutti sappiamo però benissimo come nei casi di Eluana Englaro (1970-2009), di Charlie Gard (2016-2017), Alfie Evans (2016-2018) e Vincent Lambert (1976-2019) il solo dare da bere e da mangiare a un bisognoso sia stato descritto in questi termini. Di per sé, appunto, è vero, ma è questo che rende le sentenze Dj Fabo e Trentini orrende: condizione sufficiente per ammazzare un altro è che questi chieda acqua e pane. La cosa più terribile di tutte, però, è che la gente non si ribelli a questa infamia.

È l’inversione di ogni carità e di ogni buon senso, l’uccisione del concetto stesso di comunità e di famiglia, la totale scomparsa annunciata dell’uomo. Un progetto raccapricciante, ma possibile oggi in Italia come altrove. Una sentenza rivoluzionaria, di cui pagheremo tutti un conto che le nostre tasche non possono permettersi.

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