Legalizzare l’«utero in affitto» cambiandogli nome

È quello che stanno cercando di fare i Radicali attraverso la «gravidanza solidale», ennesimo sconcio

maternità surrogata

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Last updated on Luglio 8th, 2021 at 05:52 am

L’«utero in affitto» è un’idea indigesta per la stragrande maggioranza della popolazione? Niente paura: basta procedere per gradi, indorando la pillola. La strategia dei Radicali è quella di sempre: astuta e al tempo stesso prevedibile. Da un lato si avanzano provocazioni antropologiche utili a condizionare il dibattito, dall’altro si perseguono canali istituzionali, tentando tutte le mediazioni possibili.

Non è ancora ripresa la discussione in parlamento sul «testo unico Zan» che già si affaccia una nuova proposta di legge, denominata Disciplina della gravidanza solidale e altruistica. Il progetto, depositato alla Camera dei deputati nei giorni scorsi, vede primi firmatari Guia Termini (Movimento Cinque Stelle, M5S), Doriana Sarli (M5S), Riccardo Magi (Gruppo Misto/Azione/+Europa-Radicali Italiani), Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana) ed Elisa Siragusa (M5S).

La vera regia dell’operazione è però delle associazioni «Luca Coscioni» e «Certi Diritti». I due think tank Radicali intendono così rispondere alla proposta di legge avanzata da Giorgia Meloni per fare dell’«utero in affitto» un «reato universale». Stando alle parole di Filomena Gallo e di Leonardo Monaco, rispettivamente segretari della «Luca Coscioni» e di «Certi Diritti», l’introduzione della «gravidanza solidale e altruistica» mirerebbe a «superare il turismo riproduttivo e le discriminazioni nei confronti degli aspiranti genitori». Secondo Gallo e Monaco, «nel 2021, anche alla luce dei recenti ammonimenti della Consulta costituzionale sui diritti dei bambini delle famiglie arcobaleno, una risposta repressiva rappresenterebbe un colpevole passo indietro».

La proposta di legge delle associazioni Radicali farebbe riferimento a quelle donne che, «in maniera libera, autonoma e volontaria», scelgono di «ospitare nel proprio utero un embrione sviluppato attraverso le tecniche di fecondazione in vitro, di favorirne lo sviluppo fino alla fine della gravidanza compreso il parto». L’intento, si dice, è quello di venire incontro ai desideri di maternità e paternità di tante coppie sterili, in un momento in cui la fertilità della popolazione italiana è in netto declino. Si punta, quindi, a regolamentare la pratica, onde evitare che dette coppie si affidino a «intermediari non autorizzati e con dubbia credibilità». Il modello di riferimento è quello già regolamentato nel Regno Unito, in Canada e in Grecia, dove le gestanti surrogate ricevono soltanto un rimborso delle spese sanitarie sostenute durante la gravidanza.

L’accesso alla genitorialità surrogata e “solidale” è consentito a single o a coppie «conviventi o unite civilmente senza discriminazione alcuna», quindi anche dello stesso sesso, a condizione che siano «maggiorenni, in età potenzialmente fertile e viventi» (art. 3). La gestante surrogata (art. 4) dovrà avere un’età compresa tra i 21 e i 45 anni, essere residente in Italia, indipendentemente dalla titolarità della cittadinanza italiana o meno, e avere già un figlio proprio vivente. Altra condizione vincolante: nel corso della propria vita nessuna donna potrà portare a realizzazione più di «due Gravidanze solidali e altruistiche complete». Eccezionalmente il numero delle «gravidanze solidali» potrà essere elevato a tre, nel caso in cui il genitore o i genitori beneficiari del servizio abbiano già ottenuto un figlio con quella stessa tecnica e da quella stessa donna.

L’articolo 5 stabilisce che la gestante “solidale” non potrà farsi impiantare nell’utero i propri gameti. Nel contratto il genitore o i genitori beneficiari stipulano «una polizza assicurativa, in favore della Gestante, per la copertura di tutti i rischi connessi alla gravidanza e al parto». Il genitore o la coppia, inoltre, sono obbligati ad «aprire un conto corrente dedicato, tramite il versamento di un importo idoneo a coprire tutti i costi relativi al percorso di Gravidanza solidale e altruistica». Tale conto non potrà essere estinto prima di sei mesi successivi al parto (art. 3). La proposta di legge prevede infine l’istituzione di un «registro nazionale delle Gestanti», i cui dati saranno conservati per trent’anni «come disposto, altresì, dalla normativa in vigore in materia di tracciabilità e sicurezza relativa ai dati trattati dagli Istituti dei Tessuti» (art. 7).

Le prime reazioni contrarie alla proposta di legge, come prevedibile, arrivano dal Centrodestra e, segnatamente, dalla Lega. In una nota, l’europarlamentare Alessandra Basso ironizza sul «nome amorevole» attribuito a «questa pratica aberrante». Al di là della patina rassicurante fornita dall’espressione «gravidanza solidale», si tratta di una «proposta di legge divisiva e ideologica che ha l’obiettivo di rendere legale lo scambio di esseri umani, come fossero oggetti, e la reificazione della donna». L’auspicio dell’onorevole Basso è che «così come il ddl Zan», anche questa proposta «venga rimandata alla prossima legislatura». Da parte propria, il senatore Simone Pillon scrive su Facebook: «Sanno che in questa legislatura non hanno nessuna possibilità, ma preparano il terreno per la battaglia culturale che nel giro di pochi anni trasformerà l’orrore dell’utero in affitto nel diritto alla “gravidanza solidale”». Secondo il senatore leghista, la proposta di legge dei Radicali è l’ennesima conferma del «potere della neolingua» con cui si sta avanzando «alla velocità della luce verso il transumanesimo, verso l’umanità 2.0 in cui il male diventa bene, la menzogna è l’unica verità e la morte è l’unico vero dio».

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