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Legalizzare l’omicidio

Il referendum vuole introdurre l’«omicidio del consenziente». Sono rimasto l’unico a sussultare?

Marco Respinti di Marco Respinti
25/01/2022
in Editoriali, Vita
112
Reading Time: 5 mins read
0
Omicidio

Image from Pixabay

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Il Comitato promotore del referendum che punta alla parziale abrogazione dell’art. 579 del Codice penale italiano, cioè all’uccisione di una persona se questa è consenziente, pubblica due errori, come documenta il Comitato «No all’omicidio del consenziente».

Nel Rendiconto firme aggiornato al 04-10-2021 i referendari indicano la cifra di 1.239.423, di cui 823.147 cartacee e 383.672 digitali, e 656.979 pronte per il deposito. Ma non è vero.

L’errore è stato formalmente rilevato dall’Ufficio centrale per il referendum della Corte di Cassazione, che in una ordinanza datata 15 dicembre 2021 certifica bena altra cifra: 789.550 totali, lontana di circa 450.000 sottoscrizioni da quanto indicano i promotori.

Gli errori capitano soltanto a chi si dà da fare, ma è buona prassi correggerli appena ce ne si rende conto onde non gettare maliziosamente fumo negli occhi al pubblico e sfruttare propagandisticamente un effetto traino dei numeri che però non esiste affatto. E certamente a più di un mese da quando l’Ufficio centrale per il referendum della Corte di Cassazione ha documentato l’errore il tempo per correggere la prospettiva c’è stato anche per chi è molto occupato dal lavoro come i referendari.

Disponibilità della vita umana

Il Comitato «No all’omicidio del consenziente» sottolinea poi un secondo errore, anch’esso messo in luce dall’Ufficio centrale per il referendum della Corte di Cassazione. Sta nel titolo stesso del quesito, che l’Ufficio ha corretto in «abrogazione parziale dell’articolo 579 del Codice penale (omicidio del consenziente)».

È cioè sbagliato – osserva il Comitato «No all’omicidio del consenziente» – qualificare il referendum come teso alla introduzione in Italia dell’eutanasia. Infatti, se approvato, il quesito referendario renderebbe non punibile l’omicidio del consenziente, oggi sanzionato appunto dall’art. 579 del Codice penale. Ma questo non c’entra nulla con l’idea di proporre la legalizzazione della soppressione delle persone in ragione di loro sofferenze intollerabili e malattie inguaribili o ragioni ritenute equipollenti. E se il quesito referendario – prosegue il Comitato «No all’omicidio del consenziente» – fosse dapprima ammesso e poi approvato, conterebbe solo l’espressione del consenso, a prescindere dalle condizioni di salute della persona. «In un ordinamento come il nostro», spiega detto Comitato per la vita, «in cui, con ragione, sono vietati gli atti di disposizione del corpo, e le deroghe sono rigorosamente disciplinate – si pensi alla donazione di un rene fra vivi –, l’approvazione del quesito costituirebbe la formalizzazione estrema della disponibilità della vita umana».

Colpa mia

Pago pegno. Io sono fra chi, per iscritto, ha definito quel referendum una consultazione sull’eutanasia.

L’ho fatto apposta. E continuerò a farlo.

Non in spregio a quanto certificato dall’Ufficio centrale per il referendum della Corte di Cassazione, non per dileggio di quanto benissimo spiegato dagli amici del Comitato «No all’omicidio del consenziente», non perché preferisca le bugie alla verità e tantomeno non perché sposi le ragioni propagandistiche dei propositori della legalizzazione dell’omicidio del consenziente. Al contrario. L’ho fatto e lo farò utilizzando coscientemente la semplificazione giornalistica, e spero non il riduzionismo spesso in voga nella mia professione, per rendere ancora più evidente l’assurdità della richiesta.

Il newspeak di cui si abusa nel nostro mondo, e la pretese alla Humpty Dumpty di fare delle parole solo uno strumento fungibile della propria volontà assolutistica, alias del potere tirannico del più forte, si nasconde spesso e volentieri, anzi, sempre, dietro circonlocuzioni che mascherano l’orrido volto della «cultura di morte»: «salute riproduttiva» per aborto, «buona morte» per uccisione di un malato di un disabile, «suicidio assistito» per omicidio.

Credo invece che chiamare le cose con il proprio nome aiuti sempre, magari provocando uno shock, ma che è salutare, a mettere le persone davanti al volto truce della realtà onde aiutarla a capirla e a respingerla.

Senza dubbio hanno ragione gli specialisti: nel referendum in questione non si chiede di autorizzare l’eutanasia, bensì «l’omicidio del consenziente», ma raggruppare tutto (generalmente benché non genericamente) sotto la voce «eutanasia» a me – comunicatore – serve per scuotere – spero – le coscienze.

Non esistono più il bene e il male

Sono da sempre angosciato, scioccato e spaventato dell’uso dell’espressione «suicidio assistito». Si vuole infatti che il suicidio venga garantito dalla legge e che l’atto di contribuire a un suicidio, che altro non è che un omicidio, venga depenalizzato. Perché l’aiuto al suicidio in Italia resta reato secondo l’articolo 580 del Codice penale, quello per cui è stato processato Marco Cappato, nonostante ambiguità e attenuazioni successive della Corte costituzionale, e l’omicidio pure.

Questo basta e avanza a spiegare perché, qualunque sia la circonlocuzione, bisogna chiamare le cose con il proprio nome. E siccome giustamente il nome «eutanasia» spaventa, giustamente usiamo questa parola spaventosa per tenercene lontani.

Ancora una cosa. L’Ufficio centrale per il referendum della Corte di Cassazione ha corretto il titolo del referendum introducendo l’espressione «omicidio del consenziente». Sono rimasto l’unico a sussultare?

Si sta chiedendo agli italiani di legalizzare l’omicidio, una fattispecie dell’omicidio: quella che ha il consenso del diretto interessato. Con un X si chiede cioè di mandare all’aria un pilastro della civiltà giuridica, l’omicidio, svellendone due articolati, ovvero l’istigazione al suicidio e l’omicidio stesso. Siamo cioè all’inversione di ogni logica e di ogni morale. Il male che diventa “bene” solo perché qualcuno, fosse anche il consenziente (quanto esso lo sia davvero, e quanto questo sia accertabile, apre poi un altro dilemma lancinante), lo decreta. Non esiste più, cioè, un bene e un male a cui, tutti compreso il consenziente, si debbono attenere, ma esiste solo la volontà, il capriccio dei singoli, fossero anche il consenziente. Come questo conduca diritti all’eutanasia, anche se questa non è (ancora) oggetto di referendum è evidente. E mette i brividi.

Tags: Eutanasia
Marco Respinti

Marco Respinti

Marco Respinti è stato il direttore di International Family News fino alla fine del 2022.Italiano, è giornalista professionista, membro dell’International Federation of Journalists (IFJ), saggista, traduttore e conferenziere. Ha collaborato e collabora con diversi quotidiani e periodici, sia in versione cartacea sia online, in Italia e all’estero. Autore di libri, ha tradotto e/o curato opere di, fra gli altri, Edmund Burke, Charles Dickens, T.S. Eliot, Russell Kirk, J.R.R. Tolkien, Régine Pernoud e Gustave Thibon. Senior Fellow al Russell Kirk Center for Cultural Renewal (Mecosta, Michigan), è anche socio fondatore e membro del Consiglio Direttivo del Center for European Renewal (L’Aia, Paesi Bassi). Membro del Comitato editoriale del periodico The European Conservative e del Consiglio Consultivo della European Federation for Freedom of Belief, è direttore responsabile del periodico accademico The Journal of CESNUR e, sul web, di Bitter Winter: A Magazine on Religious Liberty and Human Rights.

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