Last updated on Luglio 30th, 2020 at 04:02 am
Dopo l’approvazione delle “Linee guida” sulla riapertura delle scuole a settembre, il ministro dell’Istruzione, Lucia Azzolina, ha dichiarato che occorre trovare una nuova collocazione per il 15% degli studenti e, allo scopo, ritiene di dover stringere patti con tutti (teatri, musei, parchi) onde rimettere in pista edifici dismessi. Detto che questo comporterà spese enormi a carico dei cittadini italiani, l’unica possibilità non presa in considerazione è quella di mettere a frutto il sistema scolastico integrato, che potrebbe risolvere il problema più facilmente e con costi inferiori.
La soluzione, insomma, c’è. Nel 2013, a Milano, a fronte delle lunghe liste di attesa per gli asili comunali, il sindaco Giuliano Pisapia comprese che conveniva maggiormente riconoscere 2mila euro di quota capitaria alle famiglie per decidere liberamente quale scuola paritaria potesse accogliere i loro bambini. Le liste d’attesa sparirono e il Comune risparmiò denaro: i 2mila euro riconosciuti a ogni famiglia sono infatti cifra di gran lunga inferiore agli 8mila che altrimenti il Comune avrebbe speso.
Oggi lo Stato italiano si trova di fronte alla medesima situazione. Le sedi statali non sono sufficienti e quel 15% di studenti che non ha il posto in classe ha diritto alla scuola, ed è chiaro che non si possa ripiegare troppo facilmente su musei o teatri.
Al contempo le “Linee guida” del Ministero parlano di «patti di comunità». Sotto mentite spoglie si tratta dell’istituto delle convenzioni che stanno alla base della vita della scuola paritaria. Ovvero oggi le scuole paritarie servono alla scuola statale. Servono al bene dei giovani, della società e del Paese.
Le 12.564 scuole paritarie italiane che sono frequentante da 866.805 studenti si sono già rese disponibili. Per il milione e 139.889 allievi che costituisce il famoso 15% che non potrebbe entrare in classe la scuola c’è: non è da costruire e non occorre spendere danari in più per inventarsi o per ricuperare spazi dismessi. Ci sono scuole pubbliche paritarie belle e comode, dotate di tutte le autorizzazioni igienico-sanitarie necessarie. Una scuola nuova costa almeno 9 miliardi di euro e ricavarne una da un edificio dismesso non costa meno. Farlo a tutti i costi, per di più a fronte di una soluzione alternativa che c’è e che costa meno, sarebbe un’operazione dissennata: costosa e ideologica.
Insomma per ricollocare il 15% di allievi di cui parla il ministro Azzolina sono necessari “solo” 7 miliardi di euro, a cui però devono essere sommati i 3 miliardi di costi fissi che chi gestisce scuole e strutture complesse sa che lo Stato continuerà a esigere. Vanno poi aggiunti i 2,4 miliardi di euro per il 30% di allievi delle scuole paritarie che chiuderanno. Complessivamente, solo come costi di gestione occorrono dunque 12 miliardi di euro, al netto del costo dei professionisti e degli edifici. La soluzione è quindi la vecchia “formula Pisapia” per Milano: riconoscere alle famiglie di quel 15% di allievi di cui sopra una quota capitaria pari al costo standard di sostenibilità (compreso fra i 3.500 e i 5.800 euro) e ricollocare – tramite sostegni all’esercizio della libertà educativa delle famiglie che oggi si trovano in stato di crisi – il 30% di alunni degli istituti paritari che chiuderanno. Così i ragazzi torneranno tutti in classe e alle famiglie verrà garantita la libertà di scegliere la scuola che preferiscono per i propri figli senza discriminazioni. In questo modo si avvierà allora un processo senza precedenti verso un sistema scolastico equo e animato da sana concorrenza, che, garante lo Stato, innalzerà il livello della qualità.