Last updated on Luglio 30th, 2020 at 03:59 am
Il rapporto pubblicato dal Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA) alla fine di giugno ha un titolo emblematico: Against My Will: State of the World Population 2020. È incentrato sulla condizione femminile, e in particolare sulle vessazioni subite dalle donne e dalle bambine in molte parti del mondo, specialmente nelle aree geo-politiche maggiormente complesse. Si parla insomma di mutilazioni genitali, violenze, spose bambine.
Uno degli aspetti toccati è quello, tragico, dell’aborto selettivo praticato in base al genere, di cui “iFamNews” si è già occupato seguendo lo spunto offerto dalla National Academy of Sciences statunitense e concentrando l’analisi sulla realtà cinese.
Oggi questa ribalta è invece occupata dall’India e dalle 460mila bambine che ogni anno, fra il 2013 e il 2017, non sono nate perché abortite in quanto femmine. Addirittura sorprende leggere, sulla stampa indiana, che le motivazioni non paiono essere legate alla povertà e all’arretratezza delle zone rurali, ma che al contrario il fenomeno dilaga nel ceto benestante urbano, assurgendo quasi a status symbol.
In un Paese in cui non esiste la “politica del figlio unico” o dei “due figli unici”, che vige invece in Cina, nonostante la proposta di legge, di matrice induista, del luglio 2019, che mirava però a contenere a due soli figli per famiglia le minoranze religiose cristiana e musulmana, le ragioni per cui venga preferito il figlio maschio sono perciò culturali. Solo in seconda istanza entra in scena insomma la questione economica, legata in particolare al problema della dote da fornire tradizionalmente a ciascuna figlia femmina e, oggi, anche all’impoverimento generale determinato dalla pandemia di CoVid-19.
In ogni caso, quale che ne sia il motivo, il rapporto medio fra i sessi alla nascita in India è stato di 899 bambine ogni mille maschi nel periodo 2016-18, con ben nove Stati della federazione che presentano un rapporto inferiore a 900 (Haryana, Uttarakhand, Delhi, Gujarat, Rajasthan, Uttar Pradesh, Maharashtra, Punjab e Bihar).
Già in passato l’Alliance Defending Freedom, un’organizzazione che opera a favore dei diritti umani e delle libertà fondamentali, aveva denunciato tale realtà impressionante con l’utilizzo strumentale e distorto del Pre-Conception Pre-Natal Diagnostics Techniques Act, adottato nel 1994 proprio per contrastare i femminicidi, il quale vieta le indagini prenatali tese a determinare il sesso del nascituro come per esempio i test sul liquido amniotico o su campioni di tessuto coriale della placenta.
Emerge però, come sempre, la consueta nota stonata: tanto la stampa locale quanto alcune organizzazioni “umanitarie” presenti nella zona in maniera sin troppo attiva stigmatizzano, e ci mancherebbe, l’aborto selettivo per genere. Contemporaneamente, però, paiono preoccupate dal fatto che l’epidemia di coronavirus abbia inibito per le ragazze e per le donne indiane il ricorso alla contraccezione e all’aborto “sicuro”.
Sicuro per chi?, verrebbe da chiedersi, considerato che, alla fine, almeno uno muore comunque?
È il solito cortocircuito logico e morale, che “iFamNews” denuncia di continuo: la chiamano «salute sessuale e riproduttiva», ma è omicidio. Si fanno scudo del morbo maledetto, ma è omicidio. Si scandalizzano se colpisce le bambine, ma è omicidio.
Commenti su questo articolo