L’arcivescovo sloveno Ivan Jurkovic, Osservatore permanente della Santa Sede all’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), ha picchiato i pugni sul tavolo. In modo figurato, ovvio. Con la grazia che si confà a un principe della Chiesa Cattolica, con i modi che si convengono alla sua figura, con le dovute maniere sempre opportune, ma nondimeno con forza e con chiarezza. L’imputato è l’“ideologia del gender”, oramai pervasiva, ubiqua, spavalda, che viene promossa a spron battuto da organismi internazionali e da maggioranze di governo conniventi in molti Paesi del mondo. Proprio come ha detto, senza mezzi termini, mons. Jurkovic, e prima di lui aveva detto Papa Francesco.
Il casus belli è stato il rapporto annuale, ufficialmente identificato con la sigla A/HRC/43/48, che è stato presentato alla 43esima sessione del Consiglio per i diritti umani dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, il 2 marzo, a Ginevra, dal Relatore speciale sulla libertà di religione e di credo, il maldiviano Ahmed Shaheed.
Mons. Jurkovic ha parlato di «[…] grande preoccupazione» del Vaticano, che del nuovo rapporto Shaheed trova «particolarmente inaccettabili e offensivi i numerosi passaggi […] che raccomandano di sacrificare la libertà di religione e di credo alla promozione di altri cosiddetti “diritti umani”», e che dunque ‒ eccoci ‒ «[…] costituiscono una sorta di “colonizzazione ideologica” da parte di alcuni Stati e di istituzioni internazionali». Quali “nuovi diritti”? I presunti “diritti LGBT+”, come se l’essere umano fosse portatore di diritti in ragione della propria funzione sessuale, e dunque, perché no, in quanto alto e biondo, oppure con gli occhi bruni, o iscritto alla bocciofila di quartiere.
Stando così le cose, ha detto l’Osservatore permanente della Santa Sede all’ONU, «[…] di fatto il Rapporto è, almeno in parte, un’aggressione sia alla libertà di religione e di credo sia alla libertà di coscienza».
Come chiarisce il presule, del resto, «[…] la Santa Sede ha sempre inteso “gender” e ogni altra espressione correlata secondo l’uso normale e generalmente accettato del termine in quanto fondato sull’identità biologica di maschio e femmina», come già una volta per tutte affermato dal Vaticano nella Dichiarazione riguardante l’interpretazione del termine «genere» rilasciata il 15 settembre 1995 a conclusione della IV Conferenza delle Nazioni Unite sulla donna, svoltasi a Pechino.
«La mia delegazione», continua il prelato, «non può che denunciare il fatto che il Rapporto sembri meno concentrarsi sulla protezione di uomini e donne, o fedi e credo personali, perseguitati o discriminati (una realtà ancora fin troppo vivida per milioni di persone nel mondo) quanto più invece spingere una visione della società umana in cui non tutti si riconoscono e che non riflette la realtà sociale, culturale e religiosa di molti».
Il Vaticano contro l’ONU, insomma, per tutelare la libertà religiosa nel suo senso più autentico e pieno. «È piuttosto spiacevole», afferma infatti mons. Jurkovic, «ma sempre meno sorprendente, vistane la frequenza, che un Rapporto in tesi stilato per difendere il diritto umano fondamentale e universale alla libertà di religione o di credo, cosi come alla libertà di obiezione di coscienza, aggredisca ora la realtà che dovrebbe invece difendere».
È un segnale decisivo. Che segna un punto di non ritorno.