La Santa Sede contro il «ddl Zan»

La «nota verbale» è un gesto cattolico che difende le libertà di tutti. Un gesto squisitamente politico, grave, laico

Last updated on Agosto 24th, 2021 at 02:32 pm

Il 17 giugno, monsignor Paul Richard Gallagher, inglese, segretario per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato vaticana (in pratica il ministro degli Esteri della Santa Sede), ha consegnato al primo consigliere all’ambasciata italiana presso la Santa Sede una cosiddetta «nota verbale», ovvero una comunicazione formale scritta in terza persona e non firmata, per contestare radicalmente il «ddl Zan».

Se ne ha notizia oggi, data dal Corriere della Sera, il quale riferisce di un documento «redatto in modo “sobrio” e “in punta di diritto”». Be’, avrebbe potuto essere altrimenti? Come rispondere, infatti, a una proposta di legge se non in termini di diritto? Come replicare, infatti, a una proposta massimalista e censoria se non con la serenità del buon senso e la pace che deriva dalla verità delle cose?

Il “CorSera” riferisce il passaggio nodale del documento vaticano: «Alcuni contenuti attuali della proposta legislativa in esame presso il Senato riducono la libertà garantita alla Chiesa Cattolica dall’articolo 2, commi 1 e 3 dell’accordo di revisione del Concordato».

A nessuno può, deve sfuggire l’importanza della notazione. La Santa Sede chiama direttamente in causa il patto stretto con l’Italia, quel patto che sancisce e che rispetta le prerogative della Santa Sede, dunque che contribuisce a regolare la presenza della Chiesa Cattolica in Italia. Quel patto che, se violato, attenterebbe alla libertà della Chiesa Cattolica che è in Italia, ponendo l’Italia nella posizione di chi frodasse, di chi non mantenesse la parola data, di chi prevaricasse.

Se dunque l’Italia approvasse il «ddl Zan» trasgredirebbe quel patto fondamentale e violerebbe la libertà della Chiesa Cattolica che è in Italia: violerebbe la libertà religiosa di cui la Chiesa Cattolica che è in Italia deve invece godere per effetto del patto che l’Italia ha sottoscritto.

Il “CorSera” definisce l’intervento vaticano «un atto senza precedenti nella storia del rapporto tra i due Stati» (aggiungendo «o almeno, senza precedenti pubblici») e lo etichetta come «destinato a sollevare polemiche e interrogativi». Perché? Perché, dice, «mai […] la Chiesa era intervenuta nell’iter di approvazione di una legge italiana, esercitando le facoltà previste dai Patti Lateranensi (e dalle loro successive modificazioni, come in questo caso)».

«Polemiche», «interrogativi»: non sono i termini giusti. Meglio dire che l’intervento vaticano avrà conseguenze. Senza processi alle intenzioni, è infatti evidente che parlare già di «polemiche» e di «interrogativi» significa imbeccare e innescare lo scontro. Quali «interrogativi», infatti, se non mettere in dubbio la legittimità dell’atto vaticano? Quali «polemiche», infatti, se non contestare il gesto come ingerenza indebita?

Ma, proprio come ricorda il “CorSera”, né di illegittimità né di ingerenza indebita si tratta. La Santa Sede ha infatti il diritto di compiere il gesto formale che ha compiuto perché quel diritto lo conferisce alla Santa Sede il patto da essa siglato con l’Italia: è cioè l’Italia a riconoscere formalmente quel diritto alla Santa Sede. E nientemeno che nella propria stessa Costituzione.

Ciò di cui si parla sono infatti i cosiddetti «Patti Lateranensi», gli accordi sottoscritti tra l’allora Regno d’Italia e la Santa Sede l’11 febbraio 1929, i quali, pur sottoposti a revisione nel 1984, regolano i rapporti fra la Repubblica Italiana e la Santa Sede. Quegli accordi sono stati inseriti nella Costituzione italiana del 1948 all’articolo 7. Insomma, non si possono bypassare se non modificando la Costituzione italiana.

I patti fra Santa Sede e Italia, nella revisione del 1984, assicurano alla Chiesa «libertà di organizzazione, di pubblico esercizio di culto, di esercizio del magistero e del ministero episcopale» e garantiscono «ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». Ma proprio queste, com’è stato oramai ampiamente documentato, sono le libertà che una eventuale legge Zan limiterebbe pesantemente.

La Chiesa Cattolica è dunque nel proprio pieno diritto di azione se chiede all’Italia di non procedere oltre lungo una strada che violerebbe gravemente i patti vigenti, conculcando le libertà.

Inoltre, nell’esercitare quel proprio diritto pieno, la Santa Sede conforta culturalmente anche l’azione di quegli italiani, tanti, tantissimi, che chiedono ora al Senato italiano di non procedere oltre lungo una strada che violerebbe gravemente i patti vigenti fra l’Italia e i propri cittadini, cittadini cui attengono i diritti alla libertà religiosa, alla libertà di pensiero, alla libertà di espressione e alla libertà di organizzazione sanciti dalla Costituzione dello Stato italiano.

L’azione, legittima e giustificata, della Santa Sede, mira ovviamente a garantire la Chiesa Cattolica che è in Italia nelle libertà che la Costituzione italiana assicura a essa, ma contribuisce anche a garantire tutti i cittadini italiani nelle libertà che la Costituzione italiana assicura loro, siano quei cittadini italiani cattolici, non cattolici, credenti in altra religione o atei.

La «nota verbale» della Santa Sede è insomma un gesto cattolico che difende le libertà di tutti. È un gesto squisitamente politico, squisitamente grave, squisitamente laico e la giornata di oggi è letteralmente storica: universale, laica, di buon senso, libera.

Quella parte dell’Italia, invece, che mira a conculcare le libertà dei cittadini tutti sancite dalla nostra Costituzione, offre un esempio pessimo di bigottismo confessionale al servizio d’interessi ideologici di parte. E forse anche un padre Giacomo Costa potrebbe pensare a un nuovo editoriale.

Aggiornamento. Il testo della «nota verbale»

Il periodico «Giurisprudenza penale» ne propone un’immagine



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