Last updated on marzo 25th, 2020 at 02:51 pm
L’epidemia di coronavirus viene presa a pretesto, da molti commentatori politici, per condannare la Sanità privata ed elogiare quella pubblica. Gli Stati Uniti d’America sono toccati ancora meno di noi dal nuovo virus, ma si moltiplicano le analisi sull’imminente collasso del suo sistema sanitario “privato” (che in realtà è misto, considerati i numerosi interventi di copertura sanitaria forniti dal governo federale). Fra i vip italiani, c’è chi tratta la Sanità statunitense come se, in confronto a quella italiana, fosse una sovrastruttura da Terzo mondo. Come si legge fra le righe del commento del cestista italiano, ma residente negli Stati Uniti, Marco Belinelli: «I miei familiari e i miei amici che vivono nel nord Italia stanno vivendo e stanno attraversando questa situazione. Grazie a Dio l’Italia ha la sanità pubblica e tutti possono avere assistenza medica. E l’Italia non è l’unica nazione colpita dal coronavirus! Sentivo di aver bisogno di condividere questo messaggio perché vivo qui negli Stati Uniti, ma ho sempre il mio Paese e i miei cari in mente».
Il punto è proprio questo: credere nella superiorità, sia morale sia tecnica, della Sanità pubblica perché è “gratuita” e “per tutti”. In realtà si tratta di due espressioni pericolose, che dovrebbero essere smentite proprio in queste drammatiche settimane italiane, in cui si assiste alla rapida saturazione degli ospedali pubblici o convenzionati.
Il primo mito da sfatare è proprio quello della gratuità: la Sanità, sebbene sia quasi sempre gratuita per il paziente, non lo è per la collettività. Prova ne è che il Servizio Sanitario Nazionale, come tutti stanno purtroppo constatando, ha effettuato tagli drastici nel personale e nei posti letto, pur continuando ad aumentare la spesa totale per i servizi sanitari. Ridurre servizi a fronte di un aumento della spesa è un tipico esempio di inefficienza del settore pubblico, non un modello virtuoso.
Si faccia il confronto con una Sanità mista che (contrariamente a quella statunitense) è già stata messa duramente alla prova dall’epidemia: la Corea del Sud. Non tutti sanno che è più privatistica di quella statunitense. Lo Stato aiuta il cittadino fornendogli una copertura assicurativa di base, ma il 94% degli ospedali sono gestiti da università, fondazioni, aziende e altri enti non statali. Servizi aggiuntivi alla copertura di base sono pagati dai pazienti con assicurazioni private. Eppure, contrariamente all’esempio italiano, i posti letto in Corea del Sud sono aumentati e non diminuiti. Gli istituti privati sono aumentati da 1.185 nel 2002 a 3.048 nel 2012. Fra i Paesi OCSE, nel 2017 la Corea del Sud disponeva di 12,27 posti letto ogni mille abitanti, contrariamente ai 3,18 (circa un quarto) dell’Italia. Il rischio di congestionare la Sanità (privata) coreana è stato dunque inferiore rispetto a quello che corriamo nel sistema (pubblico) italiano.
Untori e malati
La lezione potrebbe essere imparata anche stando in Italia, considerando che l’epidemia è scoppiata principalmente in Lombardia, dove 18 anni di giunte del governatore Roberto Formigoni (dal 1995 al 2013) hanno profondamente trasformato il Sistema sanitario regionale, rendendolo più simile ai sistemi misti. La Lombardia, nonostante i tagli di posti e di personale, finora ha miracolosamente retto all’ondata improvvisa di malati. Ha retto anche perché il 25-30% dei cittadini ricoverati, nelle prima settimane, sono stati ospitati in ospedali privati convenzionati. Dei posti letto di terapia intensiva, 589 sono offerti da ospedali statali, 270 da strutture private.
Per inciso, la Corea del Sud è riuscita a contenere l’espansione dell’epidemia e a ridurre la media dei nuovi casi giornalieri, fino ad appiattire quasi del tutto la curva dei contagi, mentre in Italia si assiste tuttora a un’impennata (come si può vedere chiaramente in questa elaborazione de Il Sole 24 Ore). All’inizio di febbraio, il Paese asiatico era al secondo posto per numero di casi dopo la Cina, al 13 marzo è al quarto posto, dopo Cina, Italia e Iran. Anche qui la Sanità privata c’entra. Chi paga di tasca propria un’assicurazione, tende a seguire un comportamento più avverso al rischio. Chi ritiene di essere spesato in tutto, ovviamente non ha la stessa attenzione. Ed è naturale che sia così. Una mentalità differente comporta anche strategie diverse di lotta al virus. Infatti in Corea del Sud si punta prima di tutto al tracciamento personale dei contagiati e di tutti i loro possibili contatti, attraverso metodi informatici in costante evoluzione, messi in linea prima da compagnie private e solo successivamente dallo Stato. Il costo è nella diagnosi, che deve essere effettuata a tappeto e il rovescio della medaglia è la possibile caccia all’untore, cioè alla persona ammalata che si comporta irresponsabilmente. Ma il criterio è logico: solo la persona che può contagiare altri è responsabilizzata e i suoi eventuali contatti sono avvertiti, ma per il resto, il Paese non chiude. In Italia, al contrario, la privacy del malato e dei suoi contatti è molto più tutelata. In compenso, in una mentalità tipica da Sanità pubblica, l’ordine di scuderia nelle prime settimane era “Milano non si ferma”. Quindi vivete come sempre e non fatevi prendere dal panico (e se vi ammalate, pagano tutti). Ma all’aumentare dei contagi e alla crisi della Sanità è poi seguito il contrordine “Tutti chiusi in casa” (perché la Sanità, pagata da tutti, sta esaurendo le risorse), come se tutti noi fossimo malati in quarantena. Con danni economici che, per ora, ci si può solo immaginare. Sfatati i miti dell’universalità e della gratuità della Sanità pubblica, purtroppo questa epidemia sta aprendo gli occhi a tutti anche sulla sua presunta superiorità morale. Si è sempre accusato di cinismo chi sostiene la Sanità privata, perché “cura solo chi paga, gli altri sono lasciati morire per strada”. A parte che è un luogo comune, perché nemmeno negli Stati Uniti una persona in pericolo di vita viene abbandonata: ha comunque diritto a essere curata al pronto soccorso, anche se priva di copertura assicurativa. Ma il punto fondamentale, qui, è che la nostra Sanità pubblica, una volta in condizioni di saturazione, sta adottando criteri cinici per selezionare i pazienti. Ne è prova il documento della SIAARTI (Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva), che parrebbe raccomandare di selezionare chi si salva e chi no, in base a condizione fisica ed età del paziente. Fra il criterio “si cura solo chi paga” (che non è vero) e “si cura solo chi ha maggior speranza di vita” (che viene già applicato) qual è il sistema più cinico?
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