Last updated on Giugno 8th, 2021 at 08:57 am
L’International Society for Sexual Medicine (ISSM) è un organismo autorevole, con sede nei Paesi Bassi, che si occupa di salute sessuale a livello internazionale, rivolgendosi soprattutto agli addetti ai lavori. La sua vision, ben esplicitata sul sito web, è «Every human being has the right to a healthy and satisfying sexual life», vale a dire che ogni essere umano ha diritto a una vita sessuale sana e soddisfacente, garantita, se necessario, da cure mediche adeguate.
Tale dichiarazione non trascura, evidentemente, le persone transessuali, né dal punto di vista puramente fisico e fisiologico né da quello psicologico e mentale.
Su The Journal of Sexual Medicine, organo ufficiale dell’ISSM, è stato di recente pubblicato uno studio sugli esiti chirurgici di due pratiche, la falloplastica e la metoidioplastica, utilizzate per la costruzione dell’organo genitale maschile in caso di disforia e transizione di genere, con “riassegnazione del sesso” da femminile a maschile (FtM).
I risultati di tale studio, realizzato a livello internazionale su 129 pazienti che hanno subito interventi di chirurgia genitale mediante una delle due tecniche indicate, evidenziano ben 281 complicanze che hanno comportato la necessità di 142 revisioni degli interventi effettuati: 281 complicanze e 142 revisioni di interventi su 129 pazienti. Prevalentemente fistole (40% delle persone che hanno partecipato allo studio) e stenosi (32%), dal punto di vista puramente fisico, ma anche peggioramenti della salute psicologica e mentale (19%).
L’aspetto del benessere psicologico e mentale non è evidentemente trascurabile, se già nel 2018 il serbo Miroslav Djordjevic, specializzato in interventi di chirurgia genitale nella propria clinica di Belgrado, considerato fra i maggiori esperti internazionali del settore, riferiva sul National Post canadese di come sempre più spesso i suoi pazienti, in quel caso prevalentemente persone transessuali MtF (da uomo a donna), sopra i 30 anni, si rivolgessero a lui per realizzare anche, dal punto di vista medico, la detransizione per ritornare al proprio sesso biologico.
Il dottor Djordjevic sottolineava anche come parlare di tali richieste, spesso costosissime oltre che dolorose e complesse sul piano medico, fosse in realtà un tabù molto difficile da infrangere, come per altro dimostrato di recente dal caso di Keira Bell.
Un secondo studio europeo, pubblicato dallo statunitense National Center for Biotechnology Information (NCBI), la cui mission risulta essere l’avanzamento di scienza e salute attraverso l’accesso a informazioni accreditate, di natura biomedica e genomica, si è occupato invece della correlazione fra rischio cardiovascolare e trattamento ormonale a lungo termine (GAHT) per la “riassegnazione di genere”.
Lo studio, svolto su un totale di 309 partecipanti (165 persone transessuali da donna a uomo e 144 persone transessuali da uomo a donna) ha valutato l’incidenza del rischio di malattie cardiovascolari dopo GAHT durante un follow-up di 2 anni, misurandola secondo la cosiddetta stima del rischio di CVD a 30 anni di Framingham.
I risultati hanno evidenziato come l’assunzione di testosterone (uno degli ormoni usati nel trattamento GAHT) abbia comportato «[…] cambiamenti lipidici sfavorevoli, quali aumento del colesterolo totale, dei trigliceridi e dei livelli di colesterolo LDL e diminuzione dei livelli di colesterolo HDL dopo l’inizio del GAHT nelle persone transessuali FtM. Questi cambiamenti nei fattori di rischio hanno portato a un aumento del rischio di eventi cardiovascolari generali e severi in base al profilo lipidico nel tempo», quindi «[…] enfatizzando il potenziale impatto clinico di queste modifiche sul rischio di CVD individuale a lungo termine».
È dunque curioso rilevare come Planned Parenthood, famoso e famigerato istituto che promuove e che finanzia l’aborto dagli Stati Uniti d’America al resto del mondo, promuova invece in generale la GAHT come una bacchetta magica destinata a realizzare qualsiasi sogno. Oppure, forse, non è curioso per niente.
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