Last updated on Novembre 3rd, 2020 at 02:03 pm
Dove si afferma «la dignità e il valore di ogni persona umana» e inoltre che «ogni essere umano ha diritto intrinseco alla vita», che «i bambini […] necessitano di cure e di tutele speciali […] sia prima sia dopo la nascita», che «la famiglia è l’unità naturale e fondamentale della società, e che per ciò stesso ha diritto alla protezione da parte della società e dello Stato», che «madri e figli hanno diritto a cure e ad assistenze speciali» e che «le donne svolgono un ruolo cruciale nella famiglia», dando un «contributo» indispensabile «al benessere della famiglia stessa e allo sviluppo della società»? In un documento di rilevanza internazionale e di importanza capitale voluto e condotto in porto dagli Stati Uniti d’America giovedì 22 ottobre. La stampa? Guardava la televisione e non se n’è accorta, distratta dal dibattito elettorale televisivo fra Donald J. Trump e Joe Biden.
Il documento siglato si chiama Geneva Consensus Declaration perché, se non fosse stato per il CoViD-19, l’incontro dell’Assemblea mondiale della sanità (l’organo legislativo dell’Organizzazione mondiale della sanità) che ne ha ospitato il lancio si sarebbe svolto, come di prassi, a Ginevra. Nel documento i firmatari dichiarano (appunto) al mondo intero cosa intendano per «[…] salute delle donne, famiglia, rispetto della vita e difesa della sovranità nazionale», come ha spiegato il ministro statunitense della Salute, Alex M. Azar II. Sono infatti stati gli Stati Uniti, assieme a Brasile, Egitto, Ungheria, Indonesia e Uganda, a volere fortemente il documento, firmato poi da 32 Paesi del mondo in rappresentanza di 1,6 miliardi di persone, vale a dire un quinto del genere umano, documento che peraltro resta aperto a chiunque altro desideri aggiungersi.
«La dichiarazione», ha aggiunto Azar, «è molto più che l’affermazione di una serie di convinzioni: è uno strumento fondamentale per difendere i princìpi in essa esposti presso tutti gli enti delle Nazioni Unite e in ogni contesto multilaterale attraverso un linguaggio che gli Stati membri di tali enti hanno concordato in precedenza». Sono tutt’altro che parole di circostanza. I contesti internazionali, infatti, e soprattutto l’Organizzazione delle Nazioni Unite sono il luogo dove aborto e ideologia gender vengono inseriti surrettiziamente nelle decisioni finali, che si vorrebbero poi rigidamente vincolanti, attraverso un linguaggio volutamente sibillino a cui seguono interpretazioni “creative” che, se da un lato significa tutto e il contrario di tutto, dall’altro viene sempre spiegato a senso unico. Concordare quindi prima il valore e il senso delle parole è già metà dell’opera.
Ma c’è pure un secondo punto notevole. Oggi la difesa della vita e della famiglia passa attraverso la difesa della sovranità nazionale. Ovvero, un Paese sovrano può certamente imporre l’aborto ai propri cittadini, ma è soltanto rivendicando piena autonomia di decisione politica che un altro Paese può sottrarsi alle imposizioni degli organismi potenti e ricchi dell’abortismo internazionale, sempre abili nel piazzare uomini e agenti giusti al posto giusto.
Non c’è alcuna necessità di pascersi di complottismi, infatti, per accorgersi di come un numero sempre crescente di Paesi del mondo adotti politiche contro la vita e contro la famiglia per incapacità di resistere a quei denari degli aiuti esteri che giungono sempre e solo a patto di varare politiche di morte e di distruzione. Succede nei Paesi in via di sviluppo, ma anche il Primo mondo non è da meno, quando ONU ed Unione Europea, invece di essere lo spazio del confronto civile per costruire la pace fra le nazioni, diventano la quinta di una guerra asimmetrica e sporca contro chiunque non la pensi come la cultura di morte dominante.
Ora invece «le agenzie delle Nazioni Unite non potranno più reinterpretare e fraintendere il linguaggio concordato senza renderne conto», ha dichiarato senza mezzi termini il ministro Azar. «Sono infatti gli Stati membri a stabilire quale debba essere la politica delle Nazioni Unite, non il contrario. Senza scusarcene, affermiamo quindi che i singoli governi hanno il diritto sovrano di varare leggi proprie a protezione della vita innocente e di scrivere norme proprie in tema di aborto. La posta in gioco è troppo alta per consentire che programmi radicali e divisivi ostacolino la possibilità delle donne del mondo, quale che sia il grado di sviluppo del Paese in cui vivono, di godere di condizioni migliori di salute» e «denunceremo queste organizzazioni quando si spingeranno oltre le proprie competenze promuovendo politiche del tutto impopolari». Pertanto «dichiareremo inequivocabilmente che non esiste alcun diritto internazionale all’aborto e, con orgoglio, metteremo la salute delle donne al primo posto in ogni fase della vita». Parole come macigni e volontà ferrea. Non era mai successo prima. È un precedente storico di cui si dovrà parlare a lungo per agire di conseguenza. Lo ha voluto l’Amministrazione Trump. Non c’è dubbio quindi su chi sia l’uomo che, con tutto il cuore e con tutta la ragione, ci auguriamo vinca le elezioni del 3 novembre.