Last updated on Novembre 3rd, 2020 at 02:04 pm
La periferia di un impero è un posto speciale. Da un lato nessuno la conosce, dall’altro la sua marginalità consente di condurre tutti quegli esperimenti folli che questo o quel gruppo non riesce a mettere in atto al centro. Dopo il collasso dell’Unione Sovietica la Georgia, piccolo Paese al confine tra Europa e Asia, è una di queste periferie, una “frontiera” dell’impero del globalismo progressista. Quel che accade da noi è dunque l’esempio perfetto di ciò che accade alla famiglia, alla demografia di un Paese e alle sue tradizioni quando i liberal godono di carta bianca completa.
Nel 2003 in Georgia ha preso il potere Mikheil Saakashvili. La squadra di governo a cui il premier ha dato vita si è formata politicamente dentro le file di una nota ONG. Da quel momento il governo ha dunque preso a muoversi come un vero regime, che si è definito «faro della democrazia». La politica al vetriolo subito intrapresa ha permesso al regime di realizzare in dieci anni cose che in Occidente hanno richiesto un secolo.
Un Paese ortodosso, l’essenza della cui società e della cui cultura è un complesso sfaccettato fatto di gerarchie familiari e di tradizioni, è stato costretto ad accettare gli standard imposti della Open Society Foundation. Risultato, adesso la Georgia, come si può inferire dai dati presentati dalle Nazioni Unite, è sulla buona strada per finire nella lista dei Paesi a rischio di estinzione.
Il basso tasso di natalità e l’accelerazione dell’immigrazione stanno distruggendo la nostra demografia. L’esito di un sistema educativo influenzato dai media progressisti e dalle ONG è la crisi della famiglia bene evidenziata dal fatto che la maggior parte dei matrimoni finisce in divorzio.
La deliberata emarginazione della Chiesa, i problemi economici e l’indifferenza dello Stato verso la maternità e le famiglie numerose generano un cocktail infernale che sottrae alle persone il desiderio di vivere assieme e di avere figli. E chi cerca il successo crede di trovarlo fuggendo dal Paese.
Un lettore potrebbe però domandarsi: «Ma perché dovrei preoccuparmi dei problemi di un piccolo Paese che nemmeno riesco a individuare sulla carta geografica?». Semplice. Noi siamo quello che la politica del progressismo mondiale può fare e farà, se a essa sarà concesso di vincere.
Da “programma pilota”, abbiamo sperimentato tutti i risultati cui perviene un’ingegneria sociale incontrollata, totalitaria e spietata. Se davvero vogliamo sapere ciò che potrebbe accadere qualora Joe Biden, gli Antifa, Black Lives Matter e altre forze radicali controllassero gli Stati Uniti, o cosa potrebbe accadere se l’Unione Europea finisse per fare delle culture uniche e originali di ogni Paese uno zoo dell’omogeneità multiculturale e priva di ogni forma, guardiamo alla Georgia.
La storia recente del nostro Paese non è però solo questo. Noi georgiani siano infatti anche in grado di mostrare come un Paese pur piccolo sia capace di sopravvivere a sfide grandi come queste.