Last updated on Ottobre 13th, 2020 at 03:25 pm
Distruggere, distruggere, distruggere. È questo il mantra che aleggia per le strade americane devastate dalle proteste dei movimenti Antifa e Black Lives Matter. Una violenza ideologica che nella propria folle corsa travolge tutto, dalle statue di Cristoforo Colombo, pericoloso razzista, a realtà decisamente liberal e vicine al mondo progressista come Starbucks.
Sì, è proprio un locale della nota catena di coffee-shop, diffusa in tutto il mondo, l’ultima vittima delle proteste Antifa: ieri a Seattle il ristorante Starbucks è stato assaltato e distrutto dai manifestanti.
Il corteo sta attraversando la città quando, all’improvviso, passa davanti alle insegne di Starbucks. La marcia si interrompe e devia verso le vetrine illuminate, fortunatamente senza clienti. È notte, il piazzale è debolmente illuminato da pochi lampioni; nel buio, si muovono decine di figure incappucciate e mascherate. Neri gli abiti, nere le mascherine, neri gli ombrelli che utilizzano come ulteriore schermo nei confronti delle macchine fotografiche dei giornalisti. Qualcuno, armato di bombolette spray, inizia a imbrattare le vetrine, ma questo gesto evidentemente non basta a placare la sete di violenza. Improvvisamente, sui vetri qualcuno scrive la parole «Break». È il segnale: un manifestante riduce in frantumi la porta di vetro del locale e da lì inizia la sassaiola, il lancio di petardi, la ridda dei fumogeni.
«Rompete tutto»
L’obiettivo è chiaro: distruggere. Non danneggiare, ma radere al suolo, cancellare, annientare. Arriva la polizia, ed ecco che la scena cambia ancora una volta: le forze dell’ordine sono in divisa, indossano caschi, mascherine, torce e armi. I manifestanti arretrano in formazione compatta, come una testuggine: in una fila perfettamente lineare, con caschi neri e mascherine, con ombrelli aperti e grandi cartelloni rigidi con il simbolo del pugno alzato utilizzati come scudi. Tutti hanno lo stesso tipo di casco, lo stesso ombrello, lo stesso cartellone. Per un attimo, lo spettatore è confuso: quali sono i poliziotti organizzati in tenuta antisommossa e quali i manifestanti?
La storia lo insegna: quando l’ideologia e la violenza si incontrano, non può uscire nulla di buono. Quando l’ideologia poi raggiunge migliaia di giovani, che sulla carta sono studenti delle migliori università americane, ma che nella pratica sono impegnati da mesi a mettere a ferro e fuoco città intere, parlare di dialogo e diritti non è più solo ipocrita, ma è manifesta malafede.
Eppure Starbucks…
Riguardo l’opera di distruzione portata avanti dalla bella gioventù, c’è anche l’aspetto comico della vicenda. O meglio, tragicomico. Come ricorda AmericanThinker.com infatti, Starbucks è una delle multinazionali più vicine al nuovo mondo liberal, arcobaleno e solidale che i manifestanti vogliono costruire.
Un esempio? Quando le proteste di Black Lives Matter hanno avuto inizio, non solo l’azienda ha permesso ai propri dipendenti di indossare le magliette ufficiali al di sopra della divisa, ma ne ha distribuite, a proprie spese, 250mila.
Non solo: il CEO di Starbucks, Howard Schultz, sostiene pubblicamente la campagna elettorale del candidato democratico Joe Biden.
E ancora, la catena di coffee shop ha tenuto chiusi tutti i propri locali per un giorno intero per offrire ai dipendenti un corso di formazione sulla diversità e l’accoglienza. Ormai è chiaro: lo sforzo politicamente corretto dei social media manager delle multinazionali, impegnati a modificare le immagini dei profili social un giorno con la bandiera arcobaleno, un giorno con la bandiera Black Lives Matter e un giorno con il logo Fridays for Future, non basta più.