Last updated on aprile 6th, 2021 at 05:29 am
In Italia si fanno sempre meno figli. Dal 2015 il saldo tra nuovi nati e deceduti è negativo, e la pandemia da CoVid-19 ha inferto il colpo di grazia a equilibri già troppo fragili. La fotografia del presente è drammatica, ma ieri per la prima volta è stata presentata al mondo della politica, chiedendo ai rappresentanti delle istituzioni di farsene carico.
L’occasione è stata una conferenza virtuale realizzata dalla senatrice Tiziana Drago (Movimento Cinque Stelle) con ospiti Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’ISTAT; l’economista Ettore Gotti Tedeschi; Maria Regina Maroncelli, presidente dell’ELFAC; e le europarlamentari Annalisa Tardino (Lega) e Alessandra Moretti (Partito Democratico).
Il problema denatalità in Italia è infatti un problema sistemico, affrontato più volte da “iFamNews”, che coinvolge più realtà, ovvero cultura, welfare, infrastrutture, sanità, istruzione e lavoro.
Un problema a 360°
«La narrazione dell’irresponsabilità dei giovani è solo una nomea, il problema fondamentale è la mancanza di politiche familiari con la P maiuscola, in primis con un welfare idoneo», dice la senatrice Drago. «Ho presentato un disegno di legge nel quale si prevede la compressione di uno o due anni del ciclo dell’istruzione, perché il picco della fertilità per una donna è intorno ai 25 anni, ma l’età media dei parti sale oltre i 33. Concludere prima gli studi anticiperebbe l’ingresso nel mondo del lavoro e consentirebbe di stabilizzare prima le persone e le nuove coppie».
Ciò che manca alla politica è la voglia concreta di frenare la denatalità, accusa però Gotti Tedeschi: «Sono decenni che lamentiamo il tasso di decrescita della popolazione, ma poi non succede niente. Chi è felice che non nascano bambini è superiore a chi se ne rattrista. C’è una cultura cosiddetta neomalthusiano-ambientalista, che ritiene che l’uomo debba interrompere il proprio tasso di crescita».
Radici ideologiche
Secondo l’economista, le vere radici del fenomeno sono cioè ideologiche e gli effetti visibili nella trasformazione dell’Occidente. «Ci rifiutiamo di capire», dice «quale sia il ciclo degli ultimi 50 anni, ossia di quando si è deciso di non far nascere più figli. Tasso di consumismo, delocalizzazione in Asia: il mondo occidentale è diventato un mondo esclusivamente consumatore, non produce più. Perché abbiamo delocalizzato in Asia tanta produzione? Avevamo bisogno di diminuire i prezzi dei beni per poter crescere il consumismo. Come può crescere il Pil se continua a crollare la popolazione? L’unico modo è far crescere i consumi individuali».
E i dati confermano una situazione emergenziale, come ricorda Blangiardo: «Dal 2015 la popolazione italiana è diminuita di circa mezzo milione. L’età media della maternità si alza, le donne italiane si avvicinano sempre di più ai 40 anni. I dati complessivi del 2020 non li abbiamo ancora, ma è possibile prevedere un nuovo record negativo nel saldo di fine anno. Si può ipotizzare un totale di circa 400mila nuovi nati, con i morti tra i 710 e i 720mila. Il saldo negativo sarà dunque per oltre meno 320mila unità».
Matrimoni dimezzati
Nel 2021 però i dati potrebbero anche peggiorare: «Se andassimo al 2021, tra difficoltà e spavento per la pandemia, tra disoccupazione e incertezze, i dati sarebbero e forse saranno drammatici. I matrimoni, inoltre, nel 2020 sono calati della metà rispetto al 2019. Spesso ci si sposa e poi si fa un figlio solo: nei primi 6 mesi dell’anno nel 2019 abbiamo avuto quasi 108mila matrimoni, nei primi 6 mesi del 2020 ne abbiamo avuti 34mila. E i dati riguardano tutta l’Italia, anche il Mezzogiorno, anche regioni nelle quali la pandemia è stata molto meno drammatica».
A dare voce quindi alle famiglie numerose è l’on. Maroncelli, che ricorda: «Perché un ragazzo normale dovrebbe avere figli se sa che non potrà fare vacanze o comprarsi una macchina adeguata? Fare figli è un servizio che si fa a tutti, non tutti sono chiamati ad avere figli o ad averne tanti, ma chi ha tanti figli deve essere compensato da chi non ne ha, è una questione di equità molto spiccia. La Francia offre molte compensazioni alle famiglie numerose, ma guardiamo anche alla Polonia e alla sua Family Card, idee da imitare».
La politica si impegna
Per la Moretti, che auspica più attività di lobby tra le donne, la vera sfida oggi è colmare il gender gap: «Più lavoro alle donne e meno carico famigliare, abbiamo troppe donne che non sono inserite nel mondo del lavoro, troppe donne che non riescono a raggiungere i vertici delle aziende, le donne devono sfondare il tetto di cristallo e devono entrare nelle assemblee legislative. Le donne ancora oggi sono costrette a scegliere fra famiglia e lavoro. Se le donne lavorassero tanto quanto gli uomini noi ridurremmo la nostra difficoltà economica e il nostro Pil subirebbe un incremento considerevole. I vantaggi economici della parità di genere sarebbero notevoli». Con tutto il rispetto per il Pil e la parità di genere, però, non è questo che risolverà il problema della denatalità e soprattutto non è questa sorta di “rivendicazionismo femminile”, forse, che le donne vorrebbero.
D’altro canto, la sua collega Tardino ricorda invece che «non potranno gli immigrati compensare la perdita dei decessi e dei tantissimi giovani che ogni anno lasciano il nostro Paese per andare a lavorare all’estero. Sarà necessario sfruttare al meglio i fondi del Recovery Fund, credo spetti in modo speciale a noi portare in Europa queste istanze».
Il tempo però stringe. I dati dimostrano che negli ultimi decenni la politica non si è mai presa a cuore il tema. Qualcosa finalmente si muove? Forse. Alcune proposte di legge già depositate prevedono diverse agevolazioni per le famiglie, ma soprattutto potrebbero portare a un cambio culturale nella narrazione dominante. La famiglia è un bene di tutti. Lecito quindi sperare che la politica, una volta tanto, sostenga le proposte più assennate.
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