La Corte costituzionale colombiana: “Il crocifisso non indottrina né costringe”

La Corte costituzionale della Colombia respinge una tutela che chiedeva la rimozione del crocifisso dalla sala plenaria della Corte costituzionale.

Nuovo attacco laicista. Questa volta la Giustizia ci azzecca: il crocifisso non indottrina, ma fa appello alla Speranza che “il dolore non spezza lo Spirito”.

Vediamo. Un cittadino presenta una tutela per chiedere la rimozione del crocifisso dall’aula della Corte costituzionale. Ritiene che la semplice presenza della croce sia una violazione dello Stato laico e che, inoltre, possa costringere i magistrati a prendere decisioni.

La sentenza lo respinge categoricamente: né “il giudizio e l’obiettività dei magistrati sono stati intaccati” né la presenza della Croce “costituisce una forma di esclusione o di indottrinamento”.

La Corte costituzionale ricorda che la Costituzione del 1991 definisce lo Stato colombiano “neutrale” rispetto alla religione. Questa neutralità deve tradursi in“pluralità, coesistenza paritaria e autonomia delle diverse religioni”. In altre parole, la neutralità non obbliga lo Stato ad astenersi dalle relazioni con le religioni, ma piuttosto vieta la discriminazione nelle relazioni con le religioni. Tuttavia, avverte o qualifica: “il fatto che una religione sia diffusa non implica un trattamento privilegiato”. Non privilegiato, ma nemmeno ostile.

Perché il crocifissoha anche un valore storico e culturale. In particolare, il crocifisso nella sala plenaria del palazzo di giustizia Alfonso Reyes Echandía ha un valore storico perché si trova lì da quando la sala è stata inaugurata il 7 luglio 1999. E ha un valore culturale perché è stato scolpito da un artigiano del legno di Candelaria “di riconosciuto talento”, si legge nella sentenza, che ricorda anche che l’UNESCO definisce l’identità culturale come “caratteristiche distintive spirituali, materiali ed emozionali; arti, letteratura, modi di vita, sistemi di credenze e tradizioni”.

Inoltre, la sentenza cita la giurisprudenza delle alte corti sulla stessa questione. Ad esempio, il 7 marzo 2011 la Corte costituzionale del Perù ha stabilito che la “radicale incompetenza dello Stato di fronte alla fede”. non deve essere interpretato come ostilità o impotenza. “Avremmo una sorta di Stato confessionale non religioso. Ricorda inoltre che l’influenza del cristianesimo nella formazione del Paese è “innegabile”. Conclude dicendo che “la tolleranza non può portare all’intolleranza verso la propria identità”.

La Corte Costituzionale colombiana cita anche una sentenza del Tribunale Superiore di Giustizia di Santa Rosa (Argentina) che fa appello alla“laicità positiva”, cioè al riconoscimento della trascendenza sociale del fatto religioso e al suo trattamento come fatto positivo per il Bene Comune. Ciò obbliga il potere politico a collaborare nel rispetto dell’autonomia, della pluralità e della piena imparzialità. Il tribunale argentino conclude che la Bibbia o il crocifisso sono “simboli essenzialmente passivi, senza alcuna capacità di indottrinamento”.

Inoltre, la sentenza colombiana cita anche la sentenza della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo del 18 marzo 2011 e la sentenza Marsh v Chambers del 1983 della Corte Suprema degli Stati Uniti che dichiara costituzionale la recita di una preghiera prima delle sessioni parlamentari. “Fa parte del nostro tessuto sociale da 200 anni”, conclude il tribunale statunitense.

Per lo stesso motivo, il crocifisso fa parte della storia, della cultura e della tradizione della Colombia, non fa male a nessuno e non obbliga nessuno a fare qualcosa, ma aiuta e ricorda l’identità da cui scaturisce la sete di giustizia e il desiderio di fare il bene. Per questo motivo la Corte costituzionale ha deciso di mantenerlo in aula. Buone notizie per la libertà religiosa.

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