Il 23 gennaio scorso, la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) aveva emesso una sentenza storica sulla propaganda LGBTQI rivolta ai minori: la Lituania era stata condannata per aver limitato la distribuzione di un libro LGBTQI per bambini, tra gli applausi della multinazionale della dottrina gender ILGA. Un abuso di potere e una violenza inammissibile contro uno Stato ed un popolo cristiani colpevoli di non volersi omologare alla ideologia ‘woke’ .
Nel 2013, una casa editrice lituana aveva pubblicato una “autrice” lesbica, il libro conteneva sei racconti tradizionali che avevano come protagonisti soprattutto personaggi appartenenti a gruppi minoritari (immigrati, persone con disabilità, membri della comunità LGBTQI). Due di questi racconti includevano storie d’amore e un matrimonio omosessuale per migliorare l’esperienza di lettura dei bambini. Nessuna delle nuove minoranze ‘discriminate’, secondo la narrazione del globalismo secolarizzato e ‘liberal’, era esclusa dal testo. Diverse associazioni che difendono la famiglia e i cosiddetti valori tradizionali e cristiani hanno quindi ritenuto che il libro potesse incoraggiare l’omosessualità tra i bambini. Lo Stato lituano, investito del problema, ha concluso che le storie in questione “incoraggiano una concezione del matrimonio e della fondazione della famiglia diversa da quella sancita dalla Costituzione e dal Codice civile della Repubblica di Lituania”. Il Paese ha quindi raccomandato di contrassegnare le copie con un’avvertenza che ne sconsiglia la lettura ai minori di 14 anni. L’autrice, visibilmente contrariata, ha denunciato tutto ciò che poteva: la discriminazione delle rappresentazioni LGBT e del proprio orientamento sessuale (articolo 14 della Convenzione) e anche la violazione della sua libertà di espressione (articolo 10 della Convenzione). La Corte non si è pronunciata sulla base della discriminazione perché ha ritenuto che le restrizioni imposte dallo Stato lituano fossero rivolte al contenuto del libro e non all’autore.
Alcuni giudici, tuttavia, fortunatamente in minoranza, ritengono che l’articolo 14 debba proteggere non solo le persone LGBT, ma anche le opinioni pro-LGBTQI in quanto tali. È invece sul terreno della libertà di espressione che i giudici hanno condannato la Lituania. Secondo l’articolo 10 della Convenzione, questa libertà può essere limitata dalla legge solo se persegue uno scopo legittimo. La legge lituana prevede la possibilità di “impedire ai bambini di accedere a contenuti che rappresentano le relazioni omosessuali come equivalenti a quelle eterosessuali”. La Corte ha deciso che questa legge non persegue uno scopo legittimo. Il vaso di Pandora è aperto. Con questa sentenza la Corte crea uno “standard morale comune” per tutti i Paesi europei, siamo all’avvento di un wokismo giudiziario che non ha più limiti. Infine, e per spazzare via ogni futura contestazione, i giudici sostengono che gli effetti della limitazione della pubblicazione di questo libro LGBT per i minori sarebbero incompatibili “con la nozione di uguaglianza, pluralismo e tolleranza che sono inseparabili da una società democratica”.
Una ennesima sentenza che comprova i ‘conflitti di interessi’ delle lobbies abortiste ed LGBTI e delle grandi fondazioni legate soprattutto a G.Soros e i giudici della Corte, timori più volti denunciati ed emersi da diverse ricerche del Centro Studi di Strasburgo guidato da Gregor Puppinck. Vale solo la pena ricordare che la Lituania non riconosce le coppie LGBTI e, dopo varie bocciature, da anni una proposta per la loro legalizzazione giace in Parlamento. Non solo, l’ultimo sondaggio tra i cittadini del paese ha rilevato che ben oltre il 70% è assolutamente contrario ad ogni forma di riconoscimento delle unioni LGBTI e della ideologia ‘gender’.