«L-Jus», libertà religiosa e libertà di culto in tempi del CoViD-19

L’espressione pubblica e politica della prima e più importante delle libertà dell’uomo non può essere mai negata

Crocefisso cui è stata applicata una mascherina chirurgica anti-Covid19

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Last updated on Giugno 30th, 2020 at 06:34 am

Di L-Jus, il periodico cartaceo e online pubblicato dal Centro Studi Rosario Livatino (CSRL), “iFamNews” si è occupato pochi mesi fa, in occasione dell’uscita del fascicolo n. 2 del 2019, che aveva a tema la difesa della vita dal concepimento alla fine naturale.

Lo fa di nuovo oggi per presentare il fascicolo n. 1 del 2020, scaricabile gratuitamente, che non si esime dal fare i conti con ciò che negli ultimi mesi ha investito come un ciclone il nostro Paese e il mondo intero: l’epidemia di CoViD-19.

L-Jus ha infatti modificato l’impianto editoriale previsto per ospitare una prima parte originale, interamente dedicata ad alcuni degli aspetti giuridici più significativi sollevati dalla situazione venutasi a creare in Italia durante la pandemia.

Come scrive il direttore responsabile, Alfredo Mantovano, nella prefazione, «[…] sono state affrontate le questioni riguardanti l’uso dello strumento penale per indurre la popolazione a comportamenti virtuosi per arginare la pandemia, la condizione interna agli istituti di pena, aspetti toccati dai vari dd.ll., a cominciare dal d.l. “cura Italia”, con riferimento agli aiuti alla famiglia, al trattamento dei lavoratori autonomi, alla gestione delle crisi di impresa. Non sono mancati gli approfondimenti sui risvolti etici di scelte di governo operate anche al di fuori dei confini italiani. Vi è stata una attenzione particolare alle misure adottate in tema di esercizio del culto, in particolare del culto cattolico, con riferimento le disposizioni del Concordato e della Costituzione. Si è riflettuto sugli sviluppi in regime ordinario della compressione della funzionalità di alcune istituzioni, in primis il Parlamento e l’ordinamento giudiziario».

Notevole, l’articolo dell’avvocato romano Stefano Nitoglia, Covid-19 e libertà religiosa, che prende spunto dalle problematiche createsi «[…] in seguito alle norme eccezionali emanate in Italia per far fronte alla pandemia del Covid-19, rispetto ai rapporti tra Stato e Chiesa, con particolare riferimento alla libertà religiosa, quella libertà definita da Alexis de Tocqueville come “la prima, la più santa, la più sacra di tutte le libertà umane”».

L’autore ripercorre il succedersi di tali norme eccezionali, di dPCM in dPCM, domandandosi e domandando alle fonti giudiziarie di indubbia sostanza che cita se vi sia stata oppure no illegittimità o abuso nella scelta dello strumento del decreto, «[…] provvedimento di natura amministrativa e non legislativa».

Certamente le circostanze di eccezionalità assoluta in cui l’esecutivo si è trovato a dover fornire risposte rapide ed efficaci (l’abbia fatto oppure no, non è a tema ora) possono fornire quantomeno una spiegazione rispetto a determinate decisioni, ma Nitoglia non può non chiedersi se, per quanto riguarda la sospensione delle cerimonie religiose, vi sia stato un «vulnus al regime concordatario».

Tale regime esiste in Italia fin dai Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929, sottoposti successivamente a revisione con l’Accordo detto “di Villa Madama” del 18 febbraio 1984 e richiamati espressamente dall’articolo 7 della Costituzione italiana del 1948.

Nitoglia si chiede dunque se tali normative non siano state scavalcate arbitrariamente dai dPCM che hanno sospeso e vietato le celebrazioni religiose e liturgiche in presenza dei fedeli e dal Protocollo del 7 maggio che ne regolava la ripresa graduale, laddove invece sarebbe stato importante individuare uno strumento adeguato a stabilire e a salvaguardare in via bilaterale i rapporti fra Stato e Chiesa in caso di futuri scenari di analoga emergenza di qualsivoglia natura.

Resta inteso che, pure riferendosi in modo particolare alla religione cattolica, per la quale esiste come si è detto un regime concordatario preciso per ovvie ragioni storiche e culturali, ciò vale per i rapporti con tutte le confessioni religiose esistenti sul suolo italiano.

E si apre qui, in verità, la questione vera e fondante: la libertà di culto è espressione e compimento della libertà religiosa.

Se è vero, come recita il canone 834 del Codice di Diritto canonico, che «[…] la Chiesa adempie la funzione di santificare in modo peculiare tramite la sacra liturgia», e che «[…] regolare tale liturgia dipende unicamente dall’autorità della Chiesa» (articolo 838), impedire con norme amministrative unilaterali dello Stato tale santificazione inficia la libertà religiosa, di cui la libertà di culto è appunto espressione pubblica e politica.

Le Messe con concorso di popolo sono state sospese (o vietate?) e chiunque ricorda le disposizioni stranianti in base alle quali, tra fase 1 e fase 2 dell’emergenza, è stato permesso agli italiani uscire per comprare le sigarette, ma non per andare in chiesa a pregare, anzi no: è possibile andare in chiesa, ma solo se si trova “di strada” per altre commissioni di importanza vitale (il tabacco, per l’appunto).

Senza voler alimentare polemiche tardive, occorre, ed è giusto, sottolineare che sospendere le cerimonie religiose e limitare l’accesso in chiesa significa per esempio negare ai fedeli la Comunione, che nel cattolicesimo e nell’ortodossia è indispensabile.

E, per esempio, il minyan, il gruppo di dieci uomini adulti per la recita della preghiera del Kaddish nella religione ebraica ortodossa, è un assembramento?

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