Last updated on Dicembre 24th, 2021 at 06:56 pm
Nei giorni scorsi la Corte suprema dell’Unione Europea (UE) ha assestato un colpo alla sovranità nazionale sul diritto di famiglia. I giudici hanno infatti stabilito che ogni Stato membro, anche se la legislazione nazionale non lo prevede, debba accettare che un bambino abbia due genitori dello stesso sesso se così è indicato dallo Stato di famiglia di un altro Paese UE.
Rifiuto della Bulgaria
La Corte di Giustizia europea ha preso in esame il caso di due donne residenti in Spagna dal 2015, una di nazionalità bulgara e l’altra britannica, che nel 2019 sono state registrate entrambe come madri di una bambina nata in Spagna. La donna bulgara ha chiesto al proprio Paese di trascrivere nell’anagrafe della capitale, Sofia, la bambina. La richiesta, tuttavia, è stata respinta poiché in Bulgaria “matrimoni” omosessuali e unioni civili non sono legalmente riconosciuti. Pertanto l’atto di nascita locale prevede come genitori solo un padre e una madre. Il comune di Sofia ‒ riporta il quotidiano Avvenire ‒ ha dunque chiesto una prova della genitorialità biologica a una delle due donne. La donna bulgara ha rifiutato di fornirla e così l’atto di nascita è stato rifiutato.
La sentenza
La questione è arrivata allora al Tribunale amministrativo di Sofia, che si è rivolto alla Corte UE. Ebbene, i giudici europei hanno dato ragione alle due donne rilevando che «dal momento che le autorità spagnole hanno accertato legalmente l’esistenza di un rapporto di filiazione, biologica o giuridica» tra la bambina e le due donne, costoro, «in quanto genitori di un cittadino dell’Unione minorenne di cui hanno la custodia effettiva, devono quindi vedersi riconosciuto da tutti gli Stati membri» il diritto di «accompagnare quest’ultimo nell’esercizio dei suoi diritti».
In un comunicato le due donne hanno definito la sentenza «un enorme passo avanti per tutte le famiglie LGBT+ in Bulgaria e in Europa». I giudici europei hanno sottolineato che non solo la Bulgaria, ma tutti gli Stati membri dovranno attenersi a tali obblighi. I quali, ha rilevato ancora la Corte, «non violano l’identità nazionale né minacciano l’ordine pubblico» dei Paesi UE.
Un affronto
La sentenza è stata ‒ comprensibilmente ‒ salutata con favore da esponenti di partiti progressisti, anche italiani. È il caso di Yuri Guaiana, di +Europa, e di Laura Ferrara, eurodeputata del Movimento 5 Stelle. Di diverso avviso ProVita&Famiglia, il cui vicepresidente Jacopo Coghe l’ha definita «un affronto nei confronti dei principi costituzionali degli Stati Membri dell’Unione europea, nonché l’affermazione di un principio illogico e pericoloso per far contenti i desideri Lgbtqia+». Secondo Coghe, «obbligare gli Stati dell’Unione europea a rilasciare documenti ai bambini senza esigere anche un certificato di nascita e dunque legittimando che ci siano “due padri” o “due madri” è una vera e propria forma di colonizzazione ideologica».
Non solo. Coghe ha avvertito che si è di fronte a un precedente «che apre la strada al prevalere di alcuni ordinamenti su altri». Si domanda a tal proposito: «Cosa accadrebbe infatti se alcuni Stati membri dovessero legalizzare l’utero in affitto, le adozioni a coppie gay o altro ancora? Significa che tutti gli altri si devono adattare? Tutto ciò è inaccettabile e ci aspettiamo una presa di posizione netta e contraria dal nostro Governo e da tutta la politica».
Per ora, tuttavia, languono commenti negativi da parte di esponenti politici.
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