Last updated on Agosto 24th, 2021 at 02:37 pm
Antipatico. È decisamente antipatico fare i maestrini in casa altrui, e per definizione i guastafeste non ricevono mai il biglietto d’invito. Inoltre «iFamNews» vanta anche un ramo in lingua francese, e se una cosa qui nessuno vuole fare, è frustrare l’orgoglio legittimo e bello di sentirsi figli di una storia, di una cultura, di una patria. «Francia, la dolce», insomma, come la chiamavano i compagni d’arme di Carlo Magno, ci è cara. Ma è proprio per questo che l’anniversario del 14 Luglio ci rattrista.
Come è ormai noto da tempo, quel giorno del 1789 non successe granché, tranne la prima decapitazione rivoluzionaria, quella del povero governatore della Bastiglia, Bernard-René Jourdan, marchese de Launay (1740-1789), ammazzato come un cane benché avesse ordinato al corpo di guardia di non sparare sugli assalitori. Per il resto è stata opera magistrale di interpretazione dei posteri, secondo uno dei must del marxismo-leninismo: la storia è solo propaganda rivolta al passato.
Fu così che il 14 Luglio venne trasformato nell’inizio del mondo nuovo, nella fine di ogni nefandezza (perché prima di allora, ovviamente, tutto era stato solo nefandezza), nell’alba radiosa del futuro che s’imponeva. L’inizio, cioè, di quella Rivoluzione Francese (1789-1799) che finalmente corresse per sempre le magagne del mondo, forse persino dell’universo.
La Rivoluzione Francese, però, non si paga a rate. Come diceva il primo ministro francese Georges Clemenceau (1841-1929), o tutta o niente. È un blocco. Il pick and choose non funziona, perché ne sfibra il tessuto, ne adultera l’impasto, ne perde per strada questo o quel pezzo, finendo per sbriciolarla del tutto sull’alcantara dell’auto di papà. La Rivoluzione Francese è il suo disegno e il suo impianto, la sua costruzione e il suo progetto, il suo massiccio impatto e il suo peso globale. È la Rivoluzione Francese stessa a delegittimare ogni tentativo di gettarne a mare qualche dossier imbarazzante per conservarne solo i faldoni dei lumi. Anzi, è vero proprio il contrario: i suoi imbarazzi sono il pedaggio che si paga per percorrerla tutta fino alla meta.
Ora, la Rivoluzione francese è stata tante cose e tutte congiurano a farne quel blocco che è stata allora e ancora è, se davvero essa a insegnato al mondo a stare al mondo. Fra le tante cose che la Rivoluzione Francese è stata vi sono i massacri del 1792, compiuti tra il 2 e il 6 settembre. I sanculotti presero d’assalto le prigioni di Parigi, precedentemente stipate di nemici politici, tutti genericamente ammassati come “partigiani del re”. Con la scusa di sventare un complotto monarchico e straniero, molti capi dei quali era già stati “fortunatamente” arrestati dai “patrioti”, venne compiuta una strage. Una buona metà dei richiusi fu macellata: letteralmente, visto che i sanculotti prediligevano efferatezze, mazzette da norcineria e picche su cui issare le teste spiccate dai busti delle giovani aristocratiche. Caddero molti sacerdoti e tre vescovi. 191 di quelle vittime furono persino beatificate nel 1926 da Papa Pio XI (1857-1939). Fuori Parigi accadde lo stesso, in diverse città.
Frédéric Bluche, professore associato di Storia del Diritto nell’università di Panthéon-Sorbonne, ivi membro nell’Istituto per la cultura giuridica intitolato al grande Michel Villey (1914-1988), ha pubblicato, nel 1986, per i tipi dell’editore parigini Robert Laffont, un libro “d’oro”, che anderebbe studiato costantemente, rivisitato continuamente, ovviamente tradotto e certamente continuato e approfondito invece di essere abbandonato al proprio destino di – sostanzialmente – reprobo, come capita a chi, in quest’epoca oscura, pone domande, documenta risposte e soprattutto non inginocchia la verità al politicamente corretto e conformista. Si tratta di Septembre 1792: logiques d’un massacre. Lo studio dettaglia gli avvenimenti, ma soprattutto – come suggerisce il titolo volutamente freddo e icastico – delinea la ratio di un evento orrendo. E se possibile la ratio è ancora più orrenda.
Bluche conta circa 1300 morti. Di quella mattanza lo storico Jean Tulard – docente alla Sorbona e al Collège de France, membro dell’Istitut de France – nella prefazione a Bluche scrive: «Nel mese di settembre del 1792 il massacro viene organizzato in modo perfetto e perpetrato con sottigliezze tali da impedire agli autori di invocare la perdita di sangue freddo dovuta alla disastrosa situazione militare del Paese». Tanto che quegli autori, ricorda Tulard, chiesero persino di essere retribuiti per i servigi che in quel modo avevano reso alla «Nation».
Jean de Viguerie (1935-2019), fine specialista di Storia della Chiesa nell’Università di Lilla-III, propone piuttosto la cifra di 1400 vittime in Révolution et christianisme: une appreciation chrétienne de la Révolution Française (L’Âge d’homme, Losanna, Svizzera, 1992). Il conto esatto non si saprà mai, ma sono le proporzioni che sorprendono. Dei 1400 censiti da De Viguerie 220 sono sacerdoti, ma quel che colpisce è la condizione sociale dei due terzi del totale: border-line, matti, mendicanti, senzatetto, ragazze di vita e minori. Sintetizza brillantemente De Vigurie: «tutti coloro che sono un insulto per il Contratto sociale» di Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), ovvero l’utopia che la Rivoluzione si incaricava, con quei massacri, di realizzare. Il citoyen perfetto, suggerisce ancora De Viguerie, non può infatti ammettere il “sangue impuro” e solo lo Stato decide chi meriti la cittadinanza.
Sì, l’alba del mondo nuovo è cominciata così, e non ha ancora smesso.