L’aborto chimico e la vera libertà di scelta

Negli Stati Uniti d’America e nel Regno Unito sono sempre più le madri che tornano sui propri passi grazie al metodo dell’“inversione”

Pillole abortive

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Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. L’aborto chimico è ancora più dannoso e subdolo dell’aborto chirurgico. Le conseguenze fisiche e psicologiche sulla salute delle donne si moltiplicano esponenzialmente e il metodo è anche di più facile esecuzione.

L’aborto chimico ha però un tallone d’Achille: essendo praticabile in due passaggi (somministrazione del mifepristone prima e del misoprostolo poi), alcune donne, colte dal rimorso, si fermano e assumono soltanto la prima pillola. Ci sono buone possibilità che il bambino si salvi, in caso rinunci al misoprostolo: bisogna però intervenire entro 72 ore, assumendo il progesterone necessario.

Quando gli uomini decidono sul corpo delle donne

«iFamNews» ha condiviso con i lettori la vicenda legale del dottor Dermot Kearney, dapprima diffidato dal trattamento di “inversione” della pillola abortiva, poi pienamente riabilitato dal Sistema sanitario britannico. Le sue procedure, che hanno salvato la vita di decine di bambini, sono seguite anche dalla ginecologa scozzese Eileen Reilly, anche lei interdetta alla cura e poi riabilitata.

Negli Stati Uniti d’America il metodo dell’abortion pill reversal è ancora più diffuso. Le testimonianze delle donne che hanno scelto il trattamento, rinunciando ad assumere la seconda pillola, sono sempre più numerose.

Il sito del Christian Institute riporta le storie di due giovani madri accomunate dal fatto di non aver mai realmente desiderato di abortire e di aver ceduto sotto le pressioni del compagno o della famiglia.

La prima, citata da Pregnancy Help News, è quella di una studentessa universitaria, Monica, che, conclusa improvvisamente la relazione con il fidanzato, sull’onda dell’emozione, viene da lui convinta ad abortire. Portata in una clinica per aborti, Monica riceve la prima pillola ma se ne pente quasi subito.

La giovane si mette allora a cercare freneticamente su Internet una possibile soluzione per un caso come il suo. Trovato il sito web Abortion Pill Reversal Network (APRN), decide di contattare il personale medico. «Chiamare il loro numero mi ha cambiato la vita», confida.

Dopo essere stata sottoposta al protocollo di annullamento della prima pillola, Monica ha portato avanti la gravidanza senza particolari problemi e, sette mesi dopo, suo figlio è nato perfettamente sano.

Nell’altra testimonianza, raccolta dal sito dell’organizzazione pro-life Heartbeat International, Shashana, che ha già un figlio, viene convinta ad abortire dal suo compagno, che non voleva più bambini.

Subito dopo aver ricevuto la prima pillola da una clinica della Planned Parenthood, Shashana chiede al personale medico se è possibile annullare gli effetti di quel primo farmaco: le dicono che ormai la sua decisione è presa e che, anzi, dovrebbe prendere anche la seconda pillola.

Shashana si rifiuta e, dopo una ricerca sul web, scopre anche lei l’APRN e, nel giro di poche ore, riesce a salvare la vita al bambino che aspettava.

La censura contro la vita

Dice Heartbeat International che, dall’inizio dell’attività, sono «almeno 3mila» le donne che, dopo essersi sottoposte al mifepristone, «hanno rinnegato la decisione, compiendo una scelta diversa con l’aiuto di APRN». Soltanto in questo primo semestre del 2022 oltre 500 donne sono state assistite dall’APRN.

Da parte propria Christa Brown, direttore dell’unità «Medical Impact» di Heartbeat International, denuncia una «spinta a censurare l’APRN sulle piattaforme big-tech», mentre «la vendita dei farmaci abortivi è consentita online, anche tramite Facebook, nonostante i numerosi rischi che questi farmaci comportano».

Un’ostilità generalizzata che spiega anche l’ostracismo che, nel Regno Unito, hanno dovuto subire il dottor Kearney e la dottoressa Reilly. La lobby abortista non tollera l’idea che una donna possa cambiare idea sull’aborto, passando dall’essere favorevole all’essere contraria.

A mettere i bastoni tra le ruote di questi medici pro-life ha contribuito anche openDemocracy, che mandò una giornalista in incognito ad intervistare la Reilly, per poi informare il General Medical Council britannico delle particolarità del suo metodo.

I fautori della cosiddetta «scelta» cadono in contraddizione, quando la scelta diventa a favore della vita. In certi casi riferiscono di presunti effetti collaterali gravi dell’assunzione del progesterone, che annulla gli effetti del mifepristone, ma, a tale riguardo, non sono state fornite prove credibili. «L’unica spiegazione possibile è che questi gruppi non vogliono credere che alcune donne possano cambiare effettivamente idea, anche dopo aver preso il mifepristone», aveva dichiarato Kearney ad «iFamNews» subito dopo la riabilitazione del suo metodo.

I libertari di una volta si sono fatti oggi dogmatici. E quando qualcuno si discosta dalla nuova ortodossia, scatenano la propria inquisizione.

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