Jérôme Lejeune è fra noi

Dichiarato «Venerabile», la sua eredità di scienziato autentico sbaraglia ogni illazione

Jerome Lejeune

Image from Fondation Jérôme Lejeune's official Facebook page

Last updated on aprile 6th, 2021 at 05:26 am

«Cara futura mamma, non essere spaventata». Inizia così il video realizzato da CoorDown per la Giornata mondiale sulla sindrome di Down del 2014, un video nato per rassicurare una madre in attesa di un bambino al quale era stata diagnosticata la Trisomia 21, una madre preoccupata per il futuro. «Il tuo bambino potrà fare tantissime cose, prima di tutto abbracciarti e volerti bene», dicono bambini, ragazzi e adulti con la sindrome di Down nel video.

Il video fu censurato dal Consiglio superiore per l’audiovisione perché lo spot non poteva «essere considerato come un messaggio d’interesse generale», e la sua finalità poteva «apparire ambigua e non suscitare un’adesione spontanea e consensuale».

La Fondation Jerôme Lejeune intervenne pubblicamente in difesa del video, mobilitando l’opinione pubblica di mezza Europa. Risultato? Bandito dalle reti televisive francesi, il video superò gli 8 milioni di visualizzazioni su YouTube.

Nuotare controcorrente

Perché ricordare oggi questo avvenimento? Perché il grande genetista francese Jérôme Lejeune (1926-1994) il 21 gennaio scorso è stato dichiarato venerabile dalla Congregazione per le cause dei santi, che ne ha riconosciuto le «virtù eroiche». E l’impegno della Fondazione in difesa del video di CoorDown è solo un tassello del grande mosaico realizzato da Jérôme e dall’amata moglie Birthe in difesa della vita.

Nato il 13 giugno del 1926 a Montrouge, alle porte di Parigi, Jérôme è ricordato come lo scopritore delle cause della Sindrome di Down, ma sarebbe riduttivo fermarsi qui. Il giovane medico, infatti, non solo ne studia le origini genetiche, non solo scopre quel quarantasettesimo cromosoma in più, ma si impegna da subito a spazzare via pregiudizi e discriminazioni che aleggiavano attorno alla Sindrome. «La qualità di una civiltà si misura dal rispetto che ha per il più debole dei suoi membri», ripete Jérôme ai colleghi sconcertati.

Sì, perché di sconcerto ne crea parecchio, soprattutto quando chiarisce che le scoperte sulla Trisomia 21 servono ad accompagnare i genitori, a sostenerli, ad aiutarli a comprendere e ad amare la vita nascente. Banale? No. Perché già in quegli anni si faceva strada la tentazione di una medicina che non cura, ma guarisce. Una medicina che le imperfezioni o le cancella o le elimina.

La medicina che accompagna

Jérôme inorridisce di fronte a questa mentalità dilagante e ne prende le distanze, perdendo il supporto di gran parte della comunità scientifica. Ma ciò non lo blocca, anzi: continua a visitare persone con la sindrome di Down (oltre 9mila durante tutta la carriera), accoglie e ascolta le famiglie, prende posizione nel dibattito pubblico francese prima e mondiale poi contro l’aborto e contro l’eugenetica. Nel 1994 viene chiamato a Roma da Papa san Giovanni Paolo II (1920-2005) per presiedere la neonata Pontificia Accademia per la Vita, incarico che ricopre solo per 33 giorni, fino alla morte per cancro.

Cosa rimane oggi del venerabile Lejeune? Lo sguardo fermo e sereno di un medico fedele alla scuola di Ippocrate, che prima ancora di chiamare in causa la fede chiama in causa il cuore: è profondamente umano voler custodire l’umano. Rimangono le accuse e gli attacchi ricevuti, presagio della cultura dello scarto vigente oggi.

Come quella volta che all’Onu ebbe la forza di affermare: «Ecco un’istituzione per la salute che si trasforma in istituzione di morte», e la mattina dopo sui muri di Parigi comparvero le scritte «A morte Lejeune e i suoi mostriciattoli». Le associazioni che lottano per la legalizzazione dell’aborto, infatti, non possono perdonare a quest’uomo l’amore per la vita e per quei «mostriciattoli», che lui e la moglie si ostinano a chiamare «persone».

Contro tutti per amore

L’amore per la vita sempre, anche e soprattutto quando è segnata dalla fragilità: questa la colpa più grave di Jérôme, per questa colpa egli vedrà sfumare cattedre in università e premi, compreso il Nobel. Per questo, ancora, perde crediti formativi e sussidi in Francia, pian piano in Europa: può continuare a lavorare solo grazie a fondi americani e neozelandesi. Un esilio forzato che dura più di 17 anni, anni durante i quali il medico francese non smette di parlare in pubblico, anche se nelle conferenze scientifiche gli è negata persino la possibilità di replica.

Rimane così un «segno di contraddizione», come lo definì il Pontefice polacco il giorno della morte, rimane un piccolo Davide contro «l’arroganza del Golia delle potenze finanziarie e mediatiche», come lo ha ricordato il cardinal Robert Sarah.

Oggi migliaia di famiglie in tutto il mondo si rivolgono a Jérôme Lejeune attraverso la preghiera, per chiedere aiuto e difesa per i propri figli.

Se la moglie Birthe poco prima di morire ricordava: «La verità scomoda è che lui è stato un segno di contraddizione. Davanti alla menzogna che uccide, lui ha avuto il merito di non farsi mettere a tacere. La sua opera e la sua reputazione gli rendono testimonianza», allora queste famiglie possono essere certe che Jérôme non le lascerà sole.

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