Irlanda, verso il cambio di sesso prima dei 16 anni

In discussione una proposta che consentirebbe ai minori di cambiare sesso. Già oggi non è più necessario l’intervento chirurgico per ottenere il cambio sui documenti. Multe per chi critica

Una mano con unghie finte dalla parata del Gay Pride

Image by Kevin Snyman from Pixabay

Last updated on Luglio 30th, 2020 at 04:03 am

Cambiare sesso prima di aver compiuto 16 anni? Presto potrebbe diventare possibile. Succede in Irlanda, dove in queste settimane il Fine Gael, partito il cui nome tradotto è “Famiglia degli irlandesi”, sta studiando la nuova proposta di legge presentata dalla commissione LGBT+. Ad oggi, per avviare il processo per il cambio di sesso è necessario avere almeno 18 anni. Sara R. Phillips, presidente di TENI, Transgender Equality Network Ireland, una realtà che sostiene i diritti delle persone transessuali attraverso azioni culturali e legali, ha dichiarato: «Attualmente per cambiare sesso a 16 o 17 anni è necessario presentare due certificati medici, il consenso dei genitori e un ordine del tribunale. In questo particolare processo ciò che è raccomandato è far emergere la voce del bambino e le voci dei genitori. Dare voce al bisogno del bambino sarebbe riconoscere il miglior interesse del bambino».

Nuovi documenti d’identità senza riassegnazione chirurgica

La proposta, puntualmente passata sottotraccia sui giornali mainstream, non nasce però come un fungo sotto la pioggia. Una data fissata sul calendario delle associazioni LGBT+ è il 16 luglio 2015, quando viene approvata una legge che cambia tutte le carte in tavola: da quel momento infatti diventa legale cambiare sesso senza bisogno di effettuare la riassegnazione chirurgica. Ovviamente la parola “sesso”, date le problematiche biologiche che crea nell’affermazione, scompare presto, sostituita dal termine “genere”. In Irlanda, grazie a questa legge, è possibile cambiare genere basandosi esclusivamente sull’autodeterminazione della persona, che può ottenere il cambio dei documenti senza sottoporsi ad alcun percorso medico.

Da anni le associazioni LGBT+ si battono contro l’obbligo di passare sotto i ferri per ottenere il cambio del nome sui documenti: il lungo percorso fatto di terapie ormonali e di interventi chirurgici infatti porta alla sterilità. Come scrive Il Post nel settembre 2017: «molte persone trans non vogliono essere operate (per i rischi connessi all’operazione, per poter avere figli, per altre ragioni personali) pur volendo essere riconosciute come appartenenti al genere in cui si identificano». Una conseguenza delle cure ormonali e dell’intervento di riassegnazione chirurgica infatti è la sterilizzazione: al termine del processo, non è più possibile avere figli.

Sterilità dopo la riassegnazione? Risarcimento

E le spinte in questa direzione si fanno sempre più forti, basti osservare quanto accade in Germania. Qui, fino al 2011 per ottenere il cambio sui documenti d’identità era necessario aver terminato tutto l’iter di riassegnazione chirurgica. Si conta che fino al 2011 circa 10mila persone si siano sottoposte agli interventi chirurgici per il cambio del sesso, e oggi molte di loro hanno deciso di avviare una class action contro lo Stato per ottenere un risarcimento economico per la sterilizzazione forzata.

Non è così impensabile credere che otterranno il risarcimento, quanto meno non sarebbe il primo caso: in Svezia è stato fissato un tetto di circa 24mila dollari come risarcimento per ogni persona transessuale che si è sottoposta agli interventi di riassegnazione chirurgica per ottenere il cambio sui documenti diventando sterile.

Cambio di sesso in Italia

Di risarcimenti in Italia non si parla per ora, ma forse non sarà necessario, perché negli ultimi anni si sono moltiplicate le sentenze dei tribunali che hanno riconosciuto il cambio di sesso di alcune persone transessuali anche prima di sottoporsi all’operazione. Operazione che spesso, dopo il riconoscimento, non viene mai più programmata, con il risultato, ad esempio, che persone con aspetto fisico e organi genitali maschili possono ottenere il sesso femminile sui documenti d’identità, avendo libero accesso a luoghi riservati alle donne, nonché alle quote rosa in concorsi e colloqui di lavoro.

Contro queste imposizioni iniziano a levarsi voci, anche inaspettate: J.K. Rowling, la “mamma” di Harry Potter, ha affermato che «il sesso è reale», e per questo sta subendo un linciaggio social senza precedenti. Arcilesbica, segnando di fatto un’inedita rottura con Arcigay, ha pubblicato una lettera nella quale scrive: «La sostituzione del concetto di sesso con quello di “identità di genere” ostacola lo sviluppo di leggi e strategie efficaci per il progresso delle donne nella società».

Certo è che oggi esprimere punti di vista e analisi che vadano oltre il pensiero unico è sempre più difficile e pericoloso, anche per i futuri datori di lavoro: già ora si rischiano boicottaggi e azioni legali; in futuro, se dovesse essere approvato il Ddl Zan, si rischierà il carcere.

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