Last updated on Giugno 30th, 2020 at 06:34 am
C’era una volta l’Irlanda baluardo antiabortista. Dal 24 maggio 2018, giorno del referendum in cui il 66,4% degli elettori si è espresso a favore dell’aborto, è stato un susseguirsi di eventi che hanno allontanato l’«Isola di Smeraldo» dall’antica e radicata tradizione cattolica anche sul tema della salvaguardia della vita umana nascente. Qualche mese più tardi, il 14 dicembre 2018, il parlamento ha poi dato compimento al voto, approvando una legge che legalizza tutto: adesso le donne irlandesi possono interrompere volontariamente la gravidanza fino alla dodicesima settimana. In questo modo è stato stralciato un emendamento del 1983, esito anche quello di un referendum, che proteggeva «il diritto alla vita di chi non è ancora nato».
Il governo degli sconfitti
Passati due anni da quell’impeto abortista e cinque dalla legalizzazione dei “matrimoni” omosessuali, l’Irlanda si appresta a compiere un altro passo in direzione opposta al sentiero della propria storia secolare. Nei giorni scorsi è stata infatti formalizzata la coalizione di governo tra i partiti di Centro-destra. Il Fianna Fáil di Michael Martin e il Fine Gael di Leo Varadkar, premier uscente omosessuale e figlio di un immigrato indiano, rappresentano ora la maggioranza parlamentare, grazie alla stampella decisiva offerta dai Verdi all’esecutivo. Messo in minoranza il Sinn Féin, malgrado fosse uscito vincitore dalle urne di febbraio. Dunque, chi ha perso governa e, al contrario, chi ha vinto è messo fuori causa dagli accordi politici. Un vero e proprio paradosso, che dimostra ancora una volta come le democrazie parlamentari, talvolta, siano lungi dall’essere espressione della volontà popolare.
Il nuovo proposito abortista
Ora, la nuova triade della politica irlandese ha messo a punto un elenco di propositi da realizzare. Tra i vari impegni, trovano spazio diversi passaggi controversi come la possibilità di cambiare sesso più facilmente per i giovani di 16 e 17 anni, nonché la realizzazione di «zone d’esclusione» nei pressi delle cliniche abortiste. Ciò significa che non si potranno più organizzare veglie di preghiera o presidi per dissuadere le donne dall’aborto. La speranza dei pro-vita irlandesi risiede nei quindici parlamentari trasversali che avevano bocciato l’approvazione dell’aborto nel 2018.
A proposito di pro-vita, Eilís Mulroy, di The Pro Life Campaign, ha definito il proposito del nuovo governo «una violazione evidente delle libertà civili». L’attivista ha quindi ricordato come in una recente corrispondenza con il ministro della Salute, Drew Harris, il commissario del Garda, la Polizia Nazionale della Repubblica d’Irlanda, abbia considerato «ingiustificata» l’introduzione di queste zone. Per l’esponente pro life «zone di esclusione che impediscono proteste pacifiche e libertà di parola non esistono in nessun’altra parte d’Europa».
La situazione altrove, anche in Italia
In realtà, l’affermazione della Mulroy potrebbe essere smentita presto. Come ha raccontato “iFamNews”, qualche mese fa in Belgio è iniziata la discussione di un emendamento alla legge che depenalizza l’aborto. L’obiettivo è incriminare chiunque provi a ostruire la soppressione di un bambino non nato. Diventerà così reato anche «la distribuzione fuori dalle cliniche abortiste di volantini contenenti rappresentazioni esagerate, grottesche o non conformi alla realtà dell’aborto». Chi stabilirà i criteri per valutare le rappresentazioni resta però un mistero.
E in Italia? Qui nulla osta la possibilità di manifestare o radunarsi in preghiera fuori dalle cliniche o dagli ospedali che praticano l’aborto. Il diritto di opinione e la libertà di culto, del resto, sono tutelati dalla Costituzione. Tutto fila liscio, dunque? Insomma, perché i volontari italiani debbono periodicamente fare i conti con l’intolleranza degli abortisti, se non, addirittura, con l’inopinato disappunto di qualche segretario generale della Conferenza episcopale.