Inchiesta, verso il divieto totale alle «teorie riparative»

Approvate nuove leggi che limitano le pratiche, forte la campagna stampa. Le associazioni: «Diamo solo risposte diverse»

Diritti umani LGBT

Image by Sharon McCutcheon from Pixabay

Last updated on aprile 18th, 2020 at 11:00 am

Non si fermano le pressioni delle associazioni LGBT+ affinché in tutto il mondo siano vietate le teorie riparative, ovvero quell’insieme di tecniche che vengono utilizzate per aiutare chi affronti con dolore e con difficoltà le proprie tendenze omosessuali.

Il padre delle teorie riparative è lo psicologo clinico statunitense Joseph Nicolosi (1947-2017), co-fondatore della National Association for Research and Therapy of Homosexuality (NARTH, Associazione nazionale per la ricerca e la terapia dell’omosessualità). Gran parte della sua carriera è stata dedicata all’indagine delle dinamiche che portano le persone alle tendenze omosessuali, dinamiche che Nicolosi individua nella cosiddetta “famiglia triadica”: una famiglia nella quale il padre è pressoché assente, la madre è ossessivo-opprimente in senso freudiano e il figlio subisce questi influssi con una predisposizione di fragilità particolare.

Nicolosi è stato sempre combattuto dalle associazioni LGBT+ e non ha mai ricevuto un trattamento delicato nemmeno dalla stampa. Sono state però numerose le associazioni che, seguendo la via tracciata da Nicolosi, hanno creato percorsi psicologici analoghi, a volte abbinati anche a itinerari spirituali e di preghiera.

Lo scontro, comunque, rimane a tutt’oggi apertissimo, con le associazioni LGBT+ che accusano queste pratiche di fomentare l’omofobia, di creare sensi di colpa nei giovani, di aumentare il numero dei suicidi e di utilizzare pratiche equiparabili a torture. Dall’altro lato ci sono invece le associazioni che promuovono i percorsi riparativi, le quali ribattono come le loro proposte siano pensate per chi non si senta a proprio agio nelle etichette politicamente corrette legate al mondo gay. Un percorso, insomma, da iniziare in piena libertà, con la possibilità sempre aperta di abbandonarlo qualora non risultasse soddisfacente.

Ora, da febbraio tre Stati membri delle Nazioni Unite, cioè Brasile, Ecuador e Malta, hanno approvato leggi nazionali che limitano le teorie riparative, di fatto vietandole. Lo stesso avevano fatto, alcuni mesi prima, Canada, Spagna e Stati Uniti d’America. E in Italia si moltiplicano gli sforzi per mettere al bando chiunque proponga queste teorie, con ampio risalto sulla stampa.

Screenshot from espresso.repubblica.it

Il settimanale L’Espresso ha dedicato numerosi articoli al tema: uno dei più recenti si intitola Così ci hanno devastato l’anima per “guarirci” dall’omosessualità, sotto l’occhiello Medioevo italiano. Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicoanalista, professore ordinario di Psicologia dinamica all’Università La Sapienza di Roma, raggiunto sempre da L’Espresso, dichiara: «Qualunque intervento di conversione dall’omosessualità non solo è inefficace, non essendo una patologia, ma è anche dannoso. E può indurre i giovani al suicidio». Un insieme di dichiarazioni ed esperienze, quelle riportate dalla stampa, che non possono far altro che suscitare orrore nel lettore, antipatia e disprezzo per queste teorie. Un insieme di dichiarazioni ed esperienze, però, che cozza con quanto si legge su molti siti di associazioni favorevoli alle teorie riparative. Siti sui quali la parola “riparative” difficilmente si trova.

Un esempio è Courage, un percorso di stampo cattolico che si propone di dare risposte a persone con tendenze omosessuali. Un percorso ovviamente libero, che non può essere prescritto come trattamento sanitario obbligatorio da nessun medico. Anche la scelta delle parole è importante, e proprio sul loro sito si legge: «Una persona vale di più delle sue attrazioni sessuali. Anche se una persona sperimenta attrazione per lo stesso sesso per la maggior parte della propria vita, lui o lei è innanzitutto e soprattutto un figlio/a di Dio, creato/a a Sua immagine. Fare riferimento a questa persona come “gay” o “lesbica” è un modo riduttivo di parlare di qualcuno».

Le associazioni LGBT+ chiedono, e ottengono, da anni di poter entrare nelle scuole per promuovere corsi di educazione sessuale, educazione al rispetto e formazione, con espliciti rimandi alla teoria del gender. È normale che una persona eterosessuale provi attrazione per una persona del suo stesso sesso, è normale che possa decidere di cambiare orientamento, è normale che si senta libera di avere rapporti con chi più le aggradi. Ma non è normale che una persona omosessuale abbia dubbi sul proprio orientamento, che desideri risposte che vanno oltre gli slogan arcobaleno, che voglia liberamente scoprire qualcosa di più della sua identità, che non sia soddisfatta delle etichette. Perché i dubbi vanno bene, ma solo a senso unico.

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