Last updated on Febbraio 17th, 2020 at 04:20 am
È sufficiente un bambino non ancora nato per scandalizzare il potere e la coscienza collettiva? Settimana scorsa il governo greco di centro-destra ha ordinato al gestore della metrò di Atene di rimuovere dalle stazioni una serie di pubblicità informative pro-life. Lunedì 13 gennaio sono infatti comparsi alcuni manifesti raffiguranti un feto nella pancia della mamma, contorniato da domande su ciò che accade al nascituro durante i vari stadi di gestazione.
I poster sono stati ideati dal movimento per la vita “Afiste Me Na Ziso”, cioè “Lasciami Vivere”, e le domande provocavano così: «Lo sapevi che al nascituro dal 18esimo giorno batte il cuore? Dal 42esimo vengono rilevate le onde cerebrali? Dall’ottava settimana si sono formati tutti gli organi? Dalla decima percepisce il dolore?», chiudendo quindi con «Scegli la vita!».
Immediate e furiose le reazioni: molti sui social media hanno chiesto all’operatore della metro della capitale greca di rimuovere immediatamente i poster e diverse figure pubbliche si sono espresse con parole di condanna, compresi alcuni membri del partito social-democratico KINAL e del partito di sinistra SYRIZA, disgustati dall’embrione sui poster.
In poco tempo la polemica ha raggiunto i palazzi del governo e in una dichiarazione il ministero dei Trasporti ha affermato che pubblicità come quelle offendono le donne e il loro indiscutibile diritto di abortire protetto dalla legge, dal momento che l’aborto in Grecia è legale dal 1986. Di conseguenza è arrivato l’ordine di rimuovere le pubblicità, scelta motivata dal fatto che «le campagne realizzate in aree pubbliche non debbono dividere l’opinione pubblica o insultare direttamente le donne che sono obbligate a compiere una scelta così difficile come quella di abortire».
La discussione ha quindi assunto rilevanza nazionale quando un giornale sportivo locale ha deciso di mettere in prima pagina il messaggio «Lasciami vivere», rincarando la dose attraverso un articolo in cui ha criticato quella retorica dei diritti delle donne che notoriamente ignora i diritti dei nascituri e sottolineando che le donne, quando ricorrono all’aborto, non rimuovono da sé affatto un grumo di cellule, bensì una vita umana a cui hanno donato metà del proprio patrimonio genetico. L’autore dell’articolo ha proseguito poi sottolineando che l’intervento del governo minaccia la libertà di pensiero e qualifica l’ordine di rimozione dei manifesti come un atto di «fascismo progressista».
Ufficialmente il governo difende il diritto all’aborto, ma allo stesso tempo cerca di risolverne le conseguenze, invitando le famiglie a mettere al mondo più figli e offrendo fino a €2000 di bonus per ogni nato. In Grecia si registra infatti uno dei tassi di natalità più bassi di tutta Europa: se a questo dato si aggiunge poi l’alto numero di aborti praticati, stimato a 300mila unità all’anno su una popolazione di 11 milioni di persone, è chiaro come il Paese si trovi di fronte a una crisi demografica preoccupante. Per un confronto, in Italia, che è un Paese da 60 milioni di abitanti, ci sono circa 80mila aborti l’anno. Gli esperti dicono che tra gli Stati europei la Grecia sta soffrendo più di tutti il declino della nascite, situazione aggravata dalla lunga crisi economica dello scorso decennio durante la quale gli aborti sono aumentati del 15%.
In Grecia l’aborto è stato legalizzato a metà degli anni 1980. Da allora non vi è più stato alcun dibattito pubblico sul tema. Quelli di settimana scorsa sono i primi poster a comparire in pubblico. Un bambino su un manifesto è riuscito a scuotere le coscienze di un popolo intero dopo trentacinque anni di silenzio.