È tempo di infezioni, virali e morali. Prima alcune fughe in avanti con il coming out di alcuni fedeli a Essen, in Germania, poi il #liebegewinnt («l’amore vince»), con cui centinaia di sacerdoti cattolici hanno “benedetto” coppie dello stesso sesso. Infine l’iniziativa «#OutInChurch: per una Chiesa senza paura», con la quale 125 sacerdoti, religiosi e funzionari laici cattolici tedeschi hanno dichiarato la propria “non eterosessualità” chiedendo di non essere discriminati. E ora si scopre che il contagio dilaga ormai anche fra i vescovi entusiasti dell’esistenza di un’avanguardia queer e clericale.
L’annuncio arriva da «New Ways Ministry». Questa lobby LGBT+ cattolica, che dal 1977 opera da Mount Rainier, nel Maryland, ha raccolto, da varie fonti, le parole di numerosi prelati dalla Germania e ne riporta una ventina. Fra loro spicca la voce di monsignor Helmut Dieser, vescovo di Aachen, il quale, a nome della conferenza episcopale tedesca, si rammarica per i maltrattamenti a suo dire subiti dalle persone LGBT+ da parte della Chiesa, chiede perdono e invoca una «via sinodale» attraverso la quale «comprendere più a fondo che l’orientamento sessuale e l’identità di genere sono parte della persone».
Può sorgere il dubbio che fra le gerarchie ecclesiastiche si sia confuso il cammino di conversione con una rieducazione ideologica, quando si invoca l’abbandono della legge morale così come formulata nel magistero. Soprattutto perché non si odono chiaramente e distintamente voci contrarie. Anzi, il vescovo di Berlino, mons. Heiner Koch, si dice apertamente favorevole ad abolire il celibato ecclesiastico.
Quando nessuno osa opporsi, è un segnale di timore che indica una minaccia. Sembrano tutti spaventatissimi di finire sulla graticola come il proprio predecessore a Monaco di Baviera, l’ex cardinale e Papa emerito, Joseph Ratzinger, accusato senza lo straccio di una prova e secondo uno schema ben noto, di aver chiuso un occhio di fronte agli abusi sessuali dei sacerdoti.