Il suicidio assistito mina la pratica medica

«Deadly, Not Dignified», l’evento dell’assemblea generale della Maryland Catholic Conference

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Last updated on Ottobre 28th, 2021 at 05:30 am

Nello Stato nordamericano del Maryland la «Catholic Conference», che unisce la voce politica pubblica delle tre diocesi cattoliche locali, ha organizzato un evento, «Deadly, Not Dignified», all’inizio di ottobre, dedicato all’eutanasia, segnalando come «attivisti potenti fuori dallo Stato stiano cercando di portare il suicidio medicalmente assistito in Maryland». «Il diritto alla vita è il primo e fondamentale diritto umano»: questa affermazione dell’Evangelii Gaudium, principio basilare e incontrovertibile del magistero che ispira ovviamente anche il papa regnante, esprime il fondamento dell’attività della «Catholic Conference» per un «rispetto maggiore della vita umana e un impegno maggiore per la giustizia e per la pace».

Ora, «Deadly, Not Dignified» è stato organizzato per «difendere i diritti dei disabili e discutere i pericoli del suicidio assistito» in vista della battaglia contro i tentativi di importare questa nuova morte anche in Maryland.

Togliersi la vita, anche se un medico assiste, non è assistenza medica

Negli interventi susseguitisi nei webinar, in lingua inglese il 5 ottobre e in lingua spagnola il 14, si è espresso un nutrito gruppo di esperti.

La dottoressa Marie Alberte Boursiquot, internista ed ex presidente dell’Associazione dei medici cattolici, ha affermato: «la medicina è una professione nobile. I medici sono impegnati nella pratica della medicina e nella conservazione della vita umana. […] Togliersi la vita, anche se un medico assiste, non è assistenza medica. Il suicidio medicalmente assistito danneggia il paziente, la relazione medico-paziente e mina la fiducia nella medicina», in quanto il concetto stesso di suicidio assistito «sottolinea il sentimento che certe vite siano sacrificabili». Il concetto stesso di «malattia terminale» è poi opinabile: un adolescente diabetico che rifiuti di assumere l’insulina potrebbe per esempio essere classificato come «malato terminale», anche se il diabete è una malattia curabile e gestibile.

Anita Cameron, direttrice del Sostegno alle minoranze per «Not Dead Yet», associazione per i diritti dei disabili che si oppone alla legalizzazione del «suicidio assistito» e dell’eutanasia giudicandole forme mortali di discriminazione, ha affermato nettamente: «le leggi sul suicidio assistito sono pericolose», perché addirittura i medici «a volte si sbagliano» su diagnosi di tipo terminale e sull’aspettativa di vita di un paziente malato. La Cameron ha del resto supportato l’affermazione con l’esempio della propria madre, vissuta ben 12 anni in più di una diagnosi che le aveva sentenziato un’aspettativa di vita inferiore alla settimana. Preoccupante poi è la condizione della fragilità, in particolare quella delle persone disabili, le cui vite vengono considerate «inferiori» spesso proprio dai medici.

La psichiatra forense Annette Hanson ha sottolineato il pericolo del «contagio suicida», esacerbato dalla propaganda dei «movimenti per il diritto alla morte». Per una persona che soffre di paranoia o di altri problemi mentali, «scoprire che il proprio medico può prescrivere legalmente farmaci letali rafforza le illusioni, e questo si rivela davvero negativo per le cure psichiatriche». La Hanson ha in particolare citato l’esempio dell’associazione «Compassion and Choices», impegnata ad «ampliare le possibilità di morte compassionevole». Ora, questa organizzazione ha creato un sito web strumentalizzando la storia di Brittany Maynard, ventinovenne malata di tumore al cervello che si trasferì in Oregon per poter accedere legalmente alla pratica del suicidio assistito. La California, lo Stato in cui viveva Brittany, anche in seguito a questa propaganda, ha poi legalizzato l’eutanasia, assieme ad altri sette Stati nordamericani. Tale genere di propaganda rischia davvero di colpire i più fragili, normalizzando l’eliminazione legalmente approvata dei malati come “cura” per malattie croniche, anche mentali.

Il suicidio medicalmente assistito incentiva a negare le cure per il cancro

Gravissima poi l’accusa secondo la quale, negli Stati Uniti d’America, là dove il «suicidio assistito» è già stato introdotto nell’ordinamento giuridico locale, certe compagnie assicurative arrivino a rifiutare polizze per le cure contro il cancro, offrendosi invece di pagare preparati per l’eliminazione di sé.

Dette sostanze, però, non sono certo la risposta alla sofferenza di chi si trova, a causa di una malattia, incapace di svolgere le stesse attività che svolgeva prima, ovvero di controllare le proprie funzioni corporee, sentendosi così privato della propria dignità: insomma, un “peso” per la società. Tali condizioni richiedono cure amorevoli e sostegno, affermazione della propria dignità e consapevolezza di non essere mai un peso: l’alterativa all’eutanasia, del resto, esiste: si tratta delle cure palliative.

Anche l’«American Medical Association» si oppone infatti al «suicidio assistito», definendolo «incompatibile con il ruolo del medico come guaritore».

Il Maryland merita insomma «il meglio nella gestione del dolore e della cura di qualità, non farmaci suicidi», per questo il «Maryland Catholic Advocacy Network» monitora la situazione con attenzione, diffondendo notizie, avvisi e aggiornamenti sull’attività del Congresso dello Stato in questo senso. Secondo un principio molto semplice: «nessun dolore è ingestibile».

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