Per gentile concessione, riproponiamo il commento del direttore di «iFamNews» comparso sul quotidiano «Libero» il 2 settembre 2022
In ritardo di quasi un anno, contro i pronostici e letteralmente qualche minuto prima dello scadere del proprio mandato, l’Alto commissario dell’ONU per i diritti umani (UNHCHR), Michelle Bachelet, ha reso pubblico l’agognato rapporto sullo Xinjiang, decisivo per almeno due ragioni.
La prima è la condanna del regime cinese per le «gravi violazioni dei diritti umani» nella regione che i suoi abitanti non han chiamano Turkestan Orientale, per lo più uiguri (ma non solo), per lo più musulmani (ma non solo), equiparati a «crimini contro l’umanità». La seconda è che scansa il termine «genocidio», parola culturalmente pesante, ma anzitutto giuridicamente. Non è “solo” un massacro. È la progettazione e l’attuazione della pulizia etnica. Per questo la definizione coniata nel 1943-1944 dal giurista polacco Raphael Lemkin per lo sterminio dei cristiani armeni perpetrato dai turchi (e degli ucraini per mano sovietica), quindi applicato alla Shoah, include oggi anche i «genocidi culturali». Cioè quelli meno visibili e più lenti, ma non meno feroci, che colpiscono identità nazionali, fedi religiose, lingue parlate, trasmissione della cultura, persino i tassi di riproduzione dei gruppi umani. Come fa la Cina contro uiguri, tibetani, mongoli e altri. Se quindi il termine «genocidio» non va mai brandito come un’arma impropria, ci vuole una commissione ad hoc per appurarlo.
Con il silenzio, invece, il rapporto Bachelet ne scredita persino l’idea. Nury Turkel, uiguro nato in un campo di detenzione cinese dello Xinjiang, definito da Time uno dei 100 uomini più influenti del mondo, avvocato, presidente della US Commission on International Religious Freedom, è sconfortato. «Quello uiguro è un genocidio», dice a Libero. «Evitare il termine giuridico favorisce la Cina».
La Cina potrà infatti dire che, siccome l’ONU non dice genocidio, il genocidio non c’è, e che chi lo fa, è contro l’ONU. Quanto ai «crimini contro l’umanità», sul sito dell’UNHCHR che pubblica le 48 pagine della Bachelet ci sono anche le 131 della Cina. È prassi per i Paesi attenzionati, ma quella cinese non è la risposta al rapporto: è il documento preparato prima per esorcizzarne la pubblicazione. Accusa l’ONU di interferenza e distorsioni. Tanto la Bachelet non sarà più lì a risponderne, e magari il suo successore scorderà il rapporto in un cassetto.