Last updated on aprile 21st, 2021 at 06:21 am
Appare sempre più sbiadito il volto della cattolica Irlanda. Strade e chiese vuote nel giorno del patrono San Patrizio, oggi, ne offrono l’istantanea più eloquente. Per il secondo anno di fila gli irlandesi hanno infatti dovuto rinunciare alle celebrazioni del 17 marzo. Del resto qui non solo gli assembramenti, ma anche le Messe costituiscono ormai un ricordo. A nulla è servito l’impegno dei vescovi: il governo ha mantenuto il divieto di ogni celebrazione religiosa pubblica. E così l’Irlanda fa coppia con la Slovenia: unici Paesi dell’Unione europea in tempo di pandemia ad avere chiuso i portoni degli edifici sacri.
La richiesta dei vescovi
Il primo ministro Micheál Martin, alla guida di un esecutivo in cui convive il centro-destra del Fine Gael con il Partito Verde, è irremovibile. Lo dimostra un episodio. Il 19 febbraio quattro arcivescovi sono riusciti ad avere con il capo del governo un incontro per discutere della possibilità di riaprire le chiese al culto pubblico. I presuli hanno fatto presente che «è particolarmente doloroso per i cristiani essere privati, per il secondo anno consecutivo, dell’espressione pubblica della propria fede durante il tempo più sacro della Settimana Santa e della Pasqua». Rammarico avvalorato dal fatto che, proseguono i vescovi, «è stato chiaramente dimostrato che gli edifici ecclesiastici sono tra i luoghi più sicuri in cui le persone si riuniscono». Non solo, i quattro rappresentanti della Chiesa cattolica hanno rilevato che «le severe restrizioni alla partecipazione alle Messe funebri (attualmente limitate a dieci persone) stanno causando indicibili dolori a molte famiglie».
Riflessioni non accolte
Pur ricordando che durante la pandemia l’approccio della Chiesa «è stato saldamente fondato sulla protezione della salute e della vita» e che sono necessarie restrizioni per arginare i contagi, i vescovi ritengono che «tali restrizioni alla libertà personale dovrebbero essere proporzionate e per il più breve tempo possibile». La Chiesa Cattolica irlandese ha quindi chiesto al governo di tenere in considerazione «il benessere mentale, spirituale ed emotivo delle persone», in quanto «per i fedeli, riunirsi per il culto è fondamentale per la loro identità e per la loro vita spirituale». Nonostante il premier Martin avesse assicurato ai vescovi che le loro riflessioni sarebbero state prese in considerazione, un mese dopo la situazione è rimasta inalterata: Messe ancora bandite, celebrazioni di San Patrizio saltate e Settimana Santa che si avvia al medesimo destino.
Il nuovo appello
I vescovi d’Irlanda hanno così lanciato un nuovo «appello urgente» affinché sia ripristinato il culto pubblico. «Mentre molte altre restrizioni vengono allentate, è considerato particolarmente angosciante e ingiusto» che le celebrazioni restino vietate. I presuli reiterano poi la richiesta di aumentare il numero massimo di persone che possono partecipare ai funerali, considerando pure che in Irlanda del Nord il limite è stato alzato a 25. Ma il premier Martin, ha fatto sapere un suo portavoce, è rimasto «sorpreso» dalla dichiarazione dei vescovi. Egli ha annunciato che «non può offrire garanzie sui futuri livelli di restrizioni», ma che entro Pasqua sarà presa una decisione. Per ora solo sul tema delle presenze ai funerali sembra esserci un’apertura da parte di alcuni ministri.
La mobilitazione
Il tema, nonostante la galoppante secolarizzazione dell’Irlanda, ha acceso un dibattito pubblico e ha dato linfa ai credenti. Un po’ com’è accaduto in Francia nei mesi scorsi a seguito di un’iniziativa simile del governo. Lo scorso novembre, l’imprenditore Declan Ganley ha fatto ricorso nei confronti del ministro della Sanità. L’uomo chiede di riaprire al culto pubblico, ricordando che l’art. 44 della Costituzione irlandese riconosce ai cittadini il diritto di praticare liberamente la propria religione. Ma l’udienza è stata rimandata diverse volte. Su gli scudi anche per i protestanti: un gruppo di Chiese indipendenti ha lanciato il video A Call to Reopen Churches in Ireland («Appello per riaprire le Chiese in Irlanda»), che vede protagonisti pastori e fedeli.
Si registra inoltre l’intervento di Oran Doyle, professore di Diritto al Trinity College di Dublino, rilanciato dallo Iona Institute. Il docente prova a diradare la confusione generata dalle misure anti-CoViD-19 rilevando che, nonostante il divieto di celebrare, non è illegale ricevere la Comunione. Precisazione necessaria: non sia mai che i cristiani pensino che qualcuno voglia sottrarre loro anche questo diritto.
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