Last updated on Giugno 30th, 2020 at 06:35 am
La criticità del DDL Zan non è affare solo dei “cristiani”: la proposta di legge che intende modificare gli «articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere», calendarizzata per la discussione dalla Camera dei deputati in luglio solleva non poche perplessità e preoccupazione anche in ambienti tutt’altro che cattolici.
È il caso della giornalista e scrittrice, femminista, Marina Terragni, duramente attaccata da Gayburg per essersi permessa di sollevare perplessità sulla nuova legge “contro l’omotransfobia”. Definita «pupilla di Pillon» (in riferimento al deputato leghista Simone Pillon “che deve morire” e alle sue posizioni sull’argomento), e accusata di odiare «i gay e le donne trans», la giornalista si era addirittura permessa, sul proprio profilo Facebook di affermare che «sarà bello doverci chiamare “gente con il mestruo” e non più donne per non essere querelate dai transcultori». La denuncia, chiara e netta, è che il progetto di legge istituisca di fatto il “reato di opinione”, impedendo di dichiararsi contrari al concetto di “identità di genere” o di battagliare contro l’orrenda pratica dell’utero in affitto, posizioni entrambe indicate come “discriminatorie” perché “transfobiche”. Successivamente intervenuta in difesa della scrittrice inglese J.K. Rowling, la Terragni colpisce nel segno indicando nel concetto di “identità di genere” il vero punto nodale del DDL Zan, dal nome del deputato del Partito democratico Alessandro Zan.
La spinta all’autodeterminazione senza limiti
La legge contro l’omotransfobia «è una faccenda che riguarda noi donne. Tutte», denuncia la giornalista dal proprio blog, FemminileMaschile. Anzitutto la proposta Zan mostra chiari tratti di misoginia: «una legge che introduce il rischio di essere perseguiti penalmente se dici, per esempio, che una donna è una donna e non un mestruatore o una persona dotata di “ buco davanti”; o che solo le donne partoriscono; o che l’omofecondità è solo un delirio di onnipotenza; o che l’utero in affitto è un abominio… una legge del genere sembra voler colpire più le donne che gli uomini». Ma, soprattutto, il testo della proposta sostituisce il concetto di «transessualità» con quello di «identità di genere»: «la maggioranza delle donne probabilmente non ha idea di quanto sta accadendo e ormai da anni: l’identità di genere è il luogo in cui la realtà dei corpi ‒ in particolare quella dei corpi femminili ‒ viene fatta sparire». L’identità di genere è il luogo dove domina indiscussa l’autodeterminazione senza vincoli, così che – per esempio – atlete “donne”, nate uomini, possono gareggiare in competizioni femminili, vincendo «quello che non avrebbero mai potuto ottenere in campo maschile», come denunciato dalla tennista (incidentalmente icona del mondo gay) Martina Navratilova. Lo stesso accade in politica, nelle “quote rosa”: Lily Madigan, nato maschio, è il primo transessuale eletto “rappresentante delle donne” nel Labour Party britannico, convito che «tutti quelli che fanno riferimento alla biologia sono anti-femministi».
Il cavallo di Troia dell’identità di genere
Nell’ambito dello scontro sul concetto di “identità di genere” i circoli Arcigay hanno chiesto addirittura la cacciata di ArciLesbica dai circoli Arci, a causa della “transfobia” manifestata nell’avere «organizzato un incontro con la femminista inglese Sheila Jeffrey, coautrice della Declaration on Sex-Based Women’s Right, testo alla base di una rete femminista mondiale». E la “pena” prevista per chi non si adeguasse ai diktat dell’Arcigay non si limita all’ostracismo: nel DDL Zan si parla infatti di «6 anni di detenzione e poi eventualmente un anno di “coprifuoco” – obbligo di rientro a casa entro un’ora stabilita –, lavori socialmente utili, mega-risarcimenti, ritiro di passaporto, patente e documenti validi per l’espatrio, divieto per 3 anni anche di una semplice partecipazione a una campagna elettorale».
Eppure la questione è ancora più grave. Il concetto di “identità di genere” è introdotto nella proposta di legge per un motivo ulteriore: «funzionerebbe da cavallo di Troia per un’altra legge che attende di essere presa in considerazione su proposta del MIT, Movimento Identità Trans. La proposta intende “garantire la piena effettività del diritto all’identità di genere e all’espressione di genere” riformando la legge 164/82 che oggi regola la materia».
Marina Terragni, che prese parte alle lotte per l’approvazione della legge 164, ne svela il vero obiettivo: fino a ora solo le persone che si sono sottoposte a intervento chirurgico per cambiare sesso possono domandare di adeguare le generalità anagrafiche. Il cambiamento proposto, invece, permetterebbe di modificare il genere sui documenti con una semplice autodichiarazione. Un tentativo simile è stato portato avanti nel Regno Unito, con la revisione del Gender Recognition Act, per il momento scongiurato grazie al governo di Boris Johnson, con la dichiarazione che «le donne hanno diritto ai loro spazi riservati».
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