I vulnerabili non “da scartare”

Stato, Regione e famiglia per la cura e la tutela dei più fragili. Facciamo il punto

Un familiare spinge una donna in sedia a rotelle

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Last updated on aprile 21st, 2021 at 06:20 am

Come si legge sul sito Internet del ministero del Lavoro e delle politiche sociali, «il Fondo nazionale per la non autosufficienza è stato istituito nel 2006 con Legge 27 dicembre 2006, n. 296 (art. 1, co. 1264), con l’intento di fornire sostegno a persone con gravissima disabilità e ad anziani non autosufficienti al fine di favorirne una dignitosa permanenza presso il proprio domicilio evitando il rischio di istituzionalizzazione, nonché per garantire, su tutto il territorio nazionale, l’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni assistenziali».

Un sostegno dovuto, naturalmente, che si sforza di alleggerire per quanto possibile il fardello di chi debba, e voglia, occuparsi di una persona anziana, o malata, oppure disabile e la cui condizione è definita «gravissima».

«Tali risorse», continua il sito, «sono aggiuntive rispetto alle risorse già destinate alle prestazioni e ai servizi a favore delle persone non autosufficienti da parte delle Regioni nonché da parte delle autonomie locali e sono finalizzate alla copertura dei costi di rilevanza sociale dell’assistenza sociosanitaria».

Non solo lo Stato, quindi, ma anche le Regioni si impegnano a fornire un aiuto alle famiglie dei soggetti non autosufficienti, per evitare il meglio e il più possibile che siano destinati alle residenze sanitarie per disabili (RSD) o per anziani (RSA), a causa dello sfinimento economico e personale che comporta assisterli completamente, 24 ore al giorno, ogni giorno dell’anno, per chi pure li ama moltissimo.

Per quanto riguarda la Regione Lombardia, quest’anno il Fondo nazionale prevede un ammontare di circa 90 milioni di euro, cui debbono aggiungersi altri 23 milioni stanziati dalla Regione stessa.

Sono cifre che racconta ad “iFamNews”, raggiunta al telefono, Alessandra Locatelli, deputata per la Lega Nord dal 2018 e dal 2021 assessore regionale con delega alla Famiglia, Solidarietà sociale, Disabilità e Pari Opportunità.

L’assessore Locatelli precisa che, «in base alla normativa, almeno il 50% della quota proveniente dal Fondo nazionale debba essere destinato ai casi di disabilità gravissima, con una suddivisione in nove categorie». È l’ambito definito dal codice B1 e comprende, per intenderci, pazienti in coma irreversibile, malati di sclerosi laterale amiotrofica (SLA), bambini, giovani e adulti colpiti da pluripatologie di origine neurologica, anziani non autosufficienti, per non citarne che alcuni. Il restante 50% dovrebbe invece essere riservato al supporto di altre fasce (definite dal codice B2), comunque in stato di vulnerabilità grave.

«La Regione Lombardia nello specifico», approfondisce l’assessore, «veicola agli assistiti con codice B1, ai casi cioè gravissimi, non il mero 50 bensì il 70% dei denari provenienti dal Fondo, con una ripartizione che come ovvio tenga conto dei requisiti finanziari della persona (per i minori, per esempio, l’Indicatore della situazione economica equivalente, il cosiddetto ISEE, non deve superare i 65mila euro annui)».

In relazione ai requisiti finanziari delle famiglie, i soggetti aventi diritto possono raggiungere un contributo mensile che si aggira sui 1500-2000 euro, eppure la coperta è comunque troppo corta e con la modifica della normativa realizzata a partire dal biennio 2019-2020 si è cercato di sostenere i casi più complessi. L’assessore Locatelli, inoltre, sottolinea la necessità di tenere sotto controllo la sostenibilità del piano complessivo, specialmente con l’impegno a non creare liste d’attesa ma a soddisfare le richieste volta per volta e a fornire un supporto vero e reale.

Dal punto di vista dell’utenza, come si usa ormai chiamare i beneficiari della norma, però, quanto stabilito con la Deliberazione XI/4138 del 21 dicembre 2020 si è tradotto in una contrazione dei contributi destinati ai singoli, nonostante l’ammontare complessivo del Fondo nazionale.

Tali riduzioni sono state considerate molto negativamente e si è lamentato fra l’altro che le differenze nelle cifre mensili attribuite, rispetto agli anni precedenti, non siano state opportunamente segnalate al momento della presentazione annuale della documentazione necessaria per riceverli.

“iFamNews” ne ha parlato con Selene Garraffo, un impiego nel settore pubblico, madre di quattro figli di cui una, oggi una ragazzina, è affetta dalla nascita da una serie di patologie neurologiche che ne determinano la non autosufficienza e la necessità di assistenza continuativa nelle 24 ore.

Selene Garraffo lamenta specialmente la riduzione del contributo per quei minori che frequentino la scuola per almeno 14 ore alla settimana, un tempo minimo, evidentemente, considerato importante per favorire la socialità, per quanto possibile, di questi bambini e di questi ragazzi e per concedere alle famiglie qualche momento di sollievo da un “lavoro” che non prevede domeniche né festività.

«Ogni anno occorre presentare all’Agenzia di tutela della salute sul territorio, la ATS, la domanda di contributo a riconferma della situazione del soggetto disabile gravissimo», spiega la Garraffo. «Quest’anno la domanda scadeva il 28 febbraio e senza averne dato risalto in precedenza siamo stati informati che la quota sarebbe stata inferiore per i ragazzi, come nostra figlia, che frequentano la scuola per più di 14 ore la settimana. Preciso che si tratta di scuola dell’obbligo, per altro».

«Pensiamo che la comunicazione sia stata opaca», aggiunge, «e che la decisione di ridurre la quota non tenga conto di molti fattori. I caregiver familiari – figure non ancora riconosciute a livello del governo: una legge in proposito è al momento ferma in Senato – si occupano dei disabili gravissimi non autosufficienti a ogni ora del giorno e della notte. È impensabile che non possano ricorrere a un aiuto professionale per il benessere dei propri familiari e per concedere a se stessi qualche momento di indispensabile riposo».

Contrarre il contributo per la cura dei soggetti aventi diritto, inoltre, sarebbe una misura miope, che non tiene conto invece della necessità di investire, per averne come ritorno anche la creazione di posti di lavoro, regolari e regolamentati. Il sussidio, infatti, giustamente viene attribuito solo dietro rendicontazione precisa delle spese, per esempio previa presentazione del contratto di lavoro dell’eventuale badante, o infermiera, che si traduce in tasse e contributi che in qualche modo “tornano” allo Stato. Per non parlare del risparmio, per il Paese, che si capitalizza curando e assistendo queste persone a casa, tra gli affetti familiari, invece che in strutture pubbliche più costose e dispersive.

L’assessore Locatelli non nega e anzi sottolinea un assunto di base, cioè che nessuno stanziamento «potrebbe essere sufficiente a coprire le esigenze e a ricambiare, in qualche modo, i sacrifici dei caregiver familiari nella cura dei propri cari gravemente non autosufficienti, a compensarne il carico di fatica e di stress. Sarà mia cura confrontarmi con gli uffici per poter andare incontro il più possibile alle situazioni più complesse, sperando in un ampliamento delle risorse da parte del ministero». Fornisce però qualche numero, che fa comprendere meglio la situazione: la presa in carico di soggetti con codice B1, nella fotografia al 31/12/2020, conta per la Regione Lombardia 6.975 persone e il meccanismo messo in atto permette di erogare a tutti la quota minima garantita. Di questi, mille e 600 sono minori con sindromi dello spettro autistico.

Probabilmente, come afferma l’assessore, «è quanto mai necessario raggiungere l’obiettivo ambizioso rappresentato dalla creazione di un fondo unico, che permetta una gestione flessibile, affidata alla discrezionalità delle famiglie, che renda possibile la realizzazione di un vero e proprio progetto di vita». Non esistendo, ne è “iFamNews” fermamente convinta, vite che non meritino pienamente di essere vissute.


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