I danni collaterali dell’«utero in affitto»

A rischio a causa delle tensioni militari l’arrivo a Kiev delle coppie che hanno commissionato 14 bambini

Kiev

Image from Pixabay

Vi sono quattordici bambini, fra gli altri, che stanno per nascere nell’Ucraina minacciata dalla guerra. Solo che questi non sono bambini proprio come tutti gli altri che, si immagina, debbono venire al mondo in questo periodo nella tribolata Crimea. Sono bambini che stanno per nascere da «gestazione per altri», o «maternità surrogata» che dir si voglia: da «utero in affitto», come dir si deve.

Vi sono infatti alcune coppie irlandesi che li hanno “commissionati”, qualcuna già atterrata nel Paese, qualcuna ancora a casa, in Irlanda.

L’Ucraina è uno dei pochi Paesi al mondo a consentire la «maternità surrogata» dietro compenso in denaro. Gli altri sono gli Stati Uniti d’America, la Grecia, la Georgia, il Canada e, con ironia amara, la Russia che sta ammassando truppe al proprio confine meridionale.

 Infatti, proprio di denaro tratta il cuore della notizia: le coppie in attesa a causa della tensione e delle operazioni militari che vedono protagoniste Kiev e Mosca potrebbero non riuscire a raggiungere immediatamente i neonati e dover affrontare per questo una spesa supplementare di 88 euro al giorno per l’assistenza alla “tata” nel Paese a rischio. Oltre, naturalmente, a quanto pagato alle organizzazioni a fine di lucro che gestiscono la compravendita dei piccoli, alcune delle quali attive anche in Italia, benché la pratica e la sua pubblicizzazione siano assolutamente vietate nel nostro Paese.

Le coppie irlandesi dunque non possono viaggiare per raggiungere i bambini. La senatrice Mary Seery Kearney, del partito cristiano-democratico Fine Gael, spiega che le società di maternità surrogata commerciale «[…] stanno proponendo un accordo per la tata, ma tale costo imprevisto sta diventando considerevole» e ha altresì chiesto al governo di sovvenzionare le spese aggiuntive.

Evidentemente non ha scosso abbastanza le coscienze l’albergo di Kiev, che, durante il primo lockdown per il CoViD-19, echeggiava del pianto dei bambini, figli dell’«utero in affitto», in attesa delle coppie che venissero a prenderli  e bloccate a casa dalla pandemia.

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