Non sarà certo questa la foto con cui i giornaloni sceglieranno d’illustrare la decisione del presidente degli Stati Uniti d’America, Donald J. Trump, di nominare Amy Coney Barrett per la Corte Suprema federale, in sostituzione della defunta Ruth Bader Ginsburg (1933-2020), ma è invece proprio questa la cosa più bella che si possa fare adesso.
Verrà il tempo dei commenti e delle valutazioni, ci sarà il tempo per la battaglia contro il mondo liberal che vorrà ostacolarla in ogni modo, ma quel momento non è ora. Ora è il momento di contemplare questa foto.
In questa foto, scattata non sappiamo quando, ma non molto tempo fa, il giudice federale degli Stati Uniti Amy Coney Barrett è ritratta con il marito Jesse M. Barett, avvocato, con cui è sposata dal 1999, e con i loro sette figli: Emma di 19 anni, Vivian e Tess di 16, John Peter di 13, Liam di 11, Juliet di 9 e Benjamin di 8. Due, neri di pelle, come il carbone, in questa famiglia di bianchi smaglianti, sono stati adottai ad Haiti, dopo il terremoto che ha squassato l’isola nel 2010: John Peter quando aveva tre anni e Vivian a 14 mesi, ma la piccolina era così malata che i medici non erano certi che avrebbe mai camminato e parlato. Mamma Amy, il giudice, ora dice che Vivian parla benone. Il più piccolino dei figli biologici di Amy e Jesse è affetto da sindrome di Down, «Ben», quello che nella foto c’ha più la faccia da «Pierino» di tutti.
Le vite dei neri contano e anche quelle “non degne di essere vissute”. Con che faccia gli antifascisti sfascisti tacceranno l’Amministrazione Trump e i conservatori di razzismo, plaudendo alla soppressione eugenetica degli affetti da Trisomia 21?
Amy e Jesse non casi isolati. Il cielo di questa bella primavera è infatti solcato da molte rondini. La grande conservatrice protestante Sarah Palin, già candidata alla vicepresidenza degli Stati Uniti, divenne famosa con il suo bel pancione da governatrice dell’Alaska quando aspettava Trig, a cui ha dedicato parole stupende. E Karen Santorum ha dato al conservatore cattolico Rick Santorum, ex senatore e candidato alle primarie per le presidenziali del 2012 e del 2016, otto figli, tra cui Isabella Maria, nata nel 2008 con la sindrome di Edwards (Trisomia 18). I dottori la giudicarono «incompatibile con la vita». Il 13 maggio «Bella» ha compiuto 12 anni.
Ma questa bella foto del giudice federale degli Stati Uniti Amy Coney Barrett non è la pubblicità del Mulino Bianco. In quella sua famiglia ci sono certamente scorni, battibecchi, uscite sbagliate, crisi. Come in tutte. Non in tutte le famiglie c’è però quel suo sorriso che non nega difficoltà e fatica, ma che le prende su di sé e le porta oltre. Per questo il giudice federale degli Stati Uniti Amy Coney Barrett farebbe della Corte Suprema federale un posto migliore, per questo speriamo che il fuoco di sbarramento che ha già cominciato a pioverle addosso non impedirà la ratifica della sua candidatura. Ci vuole una persona così, una donna così, una madre così, una moglie così, una professionista così in un posto di tale e tanta responsabilità per gli Stati Uniti, sì, ma per il mondo intero, per rendere l’intero mondo migliore, almeno un po’ migliore. Oggi la morte, lo svilimento della persona umana ridotta a mera funzione sessuale, anzi a capriccio, la distruzione dell’istituto famigliare e la menomazione delle autentiche libertà fondamentali (dalla religione all’educazione) sono cultura sempre più diffusa. Per questo ci vuole il giudice federale degli Stati Uniti Amy Coney Barrett, persona speciale nel suo essere normale.
Il suo nome era già circolato quando venne l’ora di sostituire, nella Corte Suprema, il dimissionario liberal Anthony M. Kennedy. Fu scelto Brett Kavanaugh, ma, a chi domandava a Trump perché non la Barrett, il presidente ripose: «la sto tenendo per la Ginsburg». Ha mantenuto la promessa, Trump, ma soprattutto ha dimostrato di essere meno parvenu di quanto ce lo descrivano. Per sostituire una donna e una pasionaria liberal come la Ginsburg, Trump, già accusato di machismo opportune et importune, ha scelto una donna e una eroina conservatrice. Cosa diranno adesso quei commentatori (alcuni così fuori luogo da tacerne il nome per carità di patria) che hanno definito la Ginsburg paladina delle persone fragili e dei diritti delle donne? Cosa diranno quelli che accusano la Barrett di (teorica) inesperienza?
L’erede di Scalia
Nata il 28 gennaio 1972 a New Orleans, in Louisiana, la Barrett è figlia del Sud profondo. Laureata Juris Doctor nel 1997 nella Notre Dame Law School, l’ateneo cattolico di Notre Dame, sobborgo universitario di South Bend nell’Indiana, a South Bend la Barrett vive con la famiglia della famosa foto qui sopra perché nella propria alma mater insegna, facendo la pendolare a Chicago dove è giudice nella Corte di appello del settimo circuito degli Stati Uniti (cioè Illinois, Indiana, Wisconsin), nominata da Trump nel 2017.
Quando, il 6 settembre di quell’anno, fu ascoltata dall’apposita commissione senatoriale bipartisan che valuta tutte le candidature federali, la senatrice Democratica Dianne Feinstein l’apostrofò per la sua fede cattolica, dicendo: «Dentro di lei il dogma vive con forza, e questo è un problema». Perché il fatto di essere cattolica la squalificherebbe del tutto, anzi sarebbe pericoloso. Ancora più pericoloso il fatto che il suo è un cattolicesimo forte, integrale: il giudice, mamma e moglie Amy fa infatti parte di un gruppo carismatico fondato nel 1971, People of Praise, che peraltro comprende pure dei protestanti, “inchiodato” bovinamente come una “setta” da tutti quelli che usano la parola “setta” come una clava. Del resto la sua professionalità specchiata è stata riconosciuta pubblicamente da un “esercito” di giuristi “stellati”, non certo tutti cattolici.
Ma la Barrett rilancia. Le ossa professionali se le è fatte con il giudice Laurence Silberman della Corte d’appello del Distretto di Columbia (la capitale Washington). Poi, nel 1998, è arrivata al fianco di Antonin G. Scalia (1936-2016), grande uomo, grande giurista, grande cattolico e grande giudice della Corte Suprema, deciso difensore dell’«originalismo» costituzionale, cioè la lettera e lo spirito autentico della legge fondamentale del Paese contro ogni interpretazione ideologica. Altro che diritti di aborto e gender. Al fianco di Scalia c’è stata fino al 1999 e poi si è data alla professione nello studio Miller, Cassidy, Larroca & Lewin di Washington. Nel 2002 è tornata come insegnante a Notre Dame, docente di ruolo dal 2010, e quindi, appunto, giudice di Corte di appello. Ma il punto è che nella figura di Scalia la Barrett si riconosce pienamente, ed è questa che sta già mandando la Sinistra intera in cortocircuito.
Ora la sua candidatura dovrà passare al vaglio di un’apposita commissione, il Senate Committee on the Judiciary, comunemente chiamato “Senate Judiciary Committee”, che, con audizioni e disamine, deciderà se inviare lei, come fa con qualsiasi federale, al voto finale dell’intero Senato con parere positivo, negativo o neutrale, 100 seggi che si esprimeranno, come è oramai prassi, a maggioranza semplice. I Democratici stanno cercando di rinviare la pratica a dopo il voto del 3 novembre, sperando che alla Casa Bianca entri Joe Biden, campione di aborto e gender. Per questo è importante che la Barrett entri alla Corte Suprema quanto prima e che Trump, il campione della difesa della vita, vinca le elezioni. Per continuare a fare bene.
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