A Porto Rico, in questo periodo, è in discussione una legge per regolamentare l’aborto elettivo che, al momento, regolamentato non è. Il Paese, infatti, ha dichiarato la propria adesione volontaria agli Stati Uniti d’America e, mentre la pratica è ancora in corso, applica comunque sul proprio territorio la legislazione statunitense, che permette l’aborto senza limiti di epoca gestazionale. La Ley 693 portoricana, invece, se approvata lo vieterà dopo le 22 settimane di vita del bambino nel grembo materno.
La legge 693, o Ley para la Protección del Concebido en la sua Etapa Gestacional de Viabilidad, «Legge per la protezione del concepito nella fase gestazionale di possibilità di sopravvivenza», oltre le 22 settimane di gravidanza avrebbe come unica eccezione il rischio per la vita o per la salute della madre e incontra completo sfavore da parte della componente filo-abortista sia della politica sia della società civile. Non piace neppure ai pro-lifer portoricani, che l’aborto giustamente vorrebbero fosse vietato in modo ben più stringente, considerando che la vita umana inizia dal momento del concepimento.
Alcuni di loro, però, tentano di fare buon viso a cattivo gioco, nella speranza che la legge 693 possa rappresentare l’inizio di un nuovo corso rispetto alla protezione della vita nel Paese. Fra questi vi è Talís Romero, attivista contro l’aborto. «In quanto pro-lifer, sappiamo bene che la vita inizia dal concepimento, quindi sappiamo anche che questo disegno di legge non è l’ideale», ha dichiarato. «Tuttavia, è il primo passo verso la regolamentazione dell’aborto sull’isola, e questo significa molto».
In collaborazione con il gruppo di advocacy Pro-Life Puerto Rico, la Romero ha lanciato una campagna intitolata «Rescuing Identity», con il fine di raccogliere sostenitori a favore del ddl in discussione, esortando le persone a inviare una e-mail al Senato per indicare il proprio appoggio alla proposta di legge.