Last updated on aprile 10th, 2020 at 07:13 am
In piena emergenza coronavirus, si consuma un nuovo scontro tra Ungheria e istituzioni europee. Ormai nota è la ridda di critiche giunte al premier Viktor Orbán, accusato di voler assumere i pieni poteri nel proprio Paese fin tanto che l’epidemia non sarà sconfitta. Ma c’è un’altra faglia attiva, meno rumorosa, eppure assai vivace e motivo di sommovimenti sull’asse Budapest-Strasburgo-Bruxelles. Tra i decreti anti CoViD-19 varati dal governo magiaro trova posto anche una legge che, scrive il britannico The Guardian, «porrebbe fine al riconoscimento legale del genere per le persone transgender».
«Sì» al sesso biologico
Di cosa si tratta precisamente? La bozza del testo, che non è stato ancora approvato dal parlamento e il cui primo firmatario è il vice primo ministro, il cattolico Zsolt Semjén, stabilisce che il genere di uomini e di donne deve essere definito come «sesso biologico basato sulle caratteristiche sessuali primarie e sui cromosomi». La nuova normativa stabilirebbe cioè che, una volta registrato il sesso alla nascita, non si potrebbe più cambiare il genere, cosa invece oggi resa possibile da una legge del 2010. Insomma, sarebbe una svolta in favore del sesso biologico e contro l’ideologia gender.
Svolta che (ma guarda un po’ che novità…) non piace affatto alle istituzioni europee. Forte e chiaro il messaggio del commissario per i Diritti umani del Consiglio d’Europa, la bosniaca Dunja Mijatović. «Le persone transgender», queste le sue parole, «hanno il diritto al riconoscimento legale del loro genere basato sull’autodeterminazione. Questo è un passo essenziale per garantire il rispetto dei loro diritti umani in tutti gli ambiti della vita. Il riconoscimento legale del genere è una questione di dignità umana». Pertanto la Mijatović non si è limitata a chiedere al parlamento di Budapest di non votare la legge voluta da Semjén, ma è andata oltre. «Le autorità ungheresi», aggiunge, «devono inoltre garantire che le persone transgender abbiano accesso a procedure rapide e trasparenti per cambiare nome e genere o sesso sul registro civile, nonché su carte d’identità, passaporti, certificati e altri documenti simili».
La battaglia ungherese contro il gender
Che il gender sia un’ideologia sgradita a Budapest è noto. Nell’ottobre 2018 il parlamento ungherese ha approvato un decreto che dispone l’interruzione dei corsi accademici incentrati sullo studio della «teoria di genere». Il governo aveva spiegato così la decisione: «Gli studi di genere sono un’ideologia, non una scienza. Il governo ungherese è dell’opinione che le persone nascano uomini oppure donne. Non mettiamo in discussione il diritto di ognuno di vivere come meglio crede, ma lo Stato non può assegnare risorse per l’organizzazione di programmi educativi basati su teorie prive di rilevanza scientifica».
Non c’è da stupirsi dell’atteggiamento ungherese, giacché è in linea con il dettato costituzionale. Con la riforma della Costituzione del 2011, infatti, viene riconosciuto «il ruolo del cristianesimo nella preservazione della nazione». E nulla è più anticristiano dell’ideologia gender, la quale «si propone implicitamente», parole (sempre laiche e sempre libere) di Papa Francesco, «di voler distruggere alla radice quel progetto creaturale che Dio ha voluto per ciascuno di noi: la diversità, la distinzione».
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