Last updated on Settembre 1st, 2022 at 04:48 am
Oggi è un bel giorno perché è l’ultimo del mandato di Michelle Bachelet come Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR). Alzi la mano chi si ricorda qualcosa di quanto fatto dalla Bachelet in quella posizione dal 1° settembre 2018, quando ha assunto l’incarico. Fra quanti l’hanno alzata, la tengano su tutti coloro che si ricordano di qualcosa di buono fatto dalla Bachelet per i diritti umani. Il che è un evidente paradosso.
Certamente il difetto sta nel manico, perché l’OHCHR è una di quelle istituzioni che sulla carta dovrebbe muovere mari e monti su un tema fondamentale ma che in realtà resta cronicamente al palo, timida, impacciata, restia, titubante, spaventata, a volte di fatto complice. Ma, rebus sic stantibus, qualcosina in più gli Alti Commissari, pescando nella farina del proprio sacco, possono farla. Non la Bachelet, però, che quindi uscirà di scena senza luce. Non si ricandiderà, infatti, per un secondo mandato, e questa è l’altra notizia positiva.
Il coronamento del suo quadriennio meschinello è la questione uigura. La Bachelet promette da quasi un anno un rapporto autorevole quanto lo è lo scranno sul quale per quattro anni ha seduto e da quasi un anno trova le mille scuse per rimandare tutto. In realtà, come ha detto il 25 agosto, il regime neo-post-nazional comunista della Cina Popolare preme su di lei come non mai, scatenando pure i propri alleati sulla scena internazionale, affinché quel rapporto non veda mai la luce. Una delle scuse accampata dalla Bachelet è stata la volontà di verificare di persona: che di per sé è cosa ottima, ma che nel suo caso si è trasformata (il viaggio è stato compiuto a fine maggio, dopo mesi di rinvio ingiustificato del famoso rapporto) in un assist fantastico alla propaganda di Pechino.
Perché infatti la Bachelet nutre e diffonde una concezione bacata dei diritti umani. Secondo la Bachelet, infatti, tra i diritti che attengono inequivocabilmente alla persona umana c’è l’uccisione di un proprio simile. Di un proprio simile innocente. Di un proprio simile ancora nel grembo della propria mamma. E questo è vergognoso. Non è infatti vergognoso che l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, cioè la massima autorità mondiale in materia, con mandato di tutti i Paesi del mondo, ritenga l’aborto un diritto umano fondamentale?
La decisione con in cui la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha mandato in soffitta la famigerata sentenza che nel 1973 rese l’aborto non-illegale in tutto il paese, la Bachelet l’ha definita spudoratamente «un grosso colpo ai diritti umani delle donne e all’eguaglianza di genere». Ma evidentemente la Bachelet allo scranno più elevato dei diritti umani nel mondo c’è arrivata proprio per quello.
La Bachelet è stata presidente del Cile per due mandati consecutivi, dal 2006 al 2010 e dal 2014 al 2018. Prima era stata ministro della Difesa, dal 2002 al 2004 e prima ancora ministro della Sanità, dal 2000 al 2002. La Bachelet è infatti è un medico, laureatasi in Medicina e Chirurgia nel 1983 nell’Università del Cile di Santiago. Deve curare cioè le persone, prendersi cura di loro. Invece da ministro cileno della Sanità si è data da fare per portare finalmente a termine un vecchio progetto di legge datato nientemeno che 1939. Un progetto di legge voluto dall’allora presidente della repubblica “martire” Salvador Allende (1908-1973), morto suicida l’11 settembre 1973.
Quel progetto di legge prevede la sterilizzazione di tutti i cittadini cileni “devianti”: è la Resolución Exenta n. 2326 del 30 novembre 2000. È stata la Bachelet a introdurla nell’ordinamento giuridico cileno d’imperio, forte del fatto che quel tipo di proposta non richiede alcuna discussione parlamentare. Con quella legge in Cile è stato quindi possibile sterilizzare qualunque persona sopra i 18 anni, uomo o donna che fosse, e pure senza il consenso dell’eventuale coniuge. La legge della Bachelet contiene infatti precise «direttive per il servizio sanitario di sterilizzazione femminile e maschile», e prevede interventi sia «su richiesta della persona sollecitata» sia «su prescrizione medica o su sollecito di terzi». La legge della Bachelet è stata poi emendata, attenuata. Ma non è forse di una gravità inaudita che un personaggio così diventi il capo mondiale dei diritti umani?
Ora, quando Allende pensò a una legge così era, proprio come lo è stata poi la sua discepola Bachelet, ministro della Salute. Allora il progetto naufragò per l’opposizione del mondo medico, ma era profondamente indicativo del giro mentale sia di Allende sia dell’intero socialismo cileno di cui l’attuale Alto Commissario per i diritti umani dell’ONU è un esponente di spicco.
Allende era infatti graniticamente convinto che gli esseri umani non siano tutti uguali, che esistano “razze superiori” e “razze inferiori” (fra queste ultime ovviamente gli ebrei), che alcune persone siano affette da tare criminali ereditarie da estirpare con la forza, che gli omosessuali e gli alcolizzati vadano curati chirurgicamente e semmai perseguitati, persino che ci siano malattie veneree da reprimere per legge. Allende era anch’egli medico. Si era laureato nel 1933 in Medicina e Chirurgia nella medesima Università del Cile di Santiago che poi diplomerà la Bachelet. Lo fece con una tesi intitolata Higiene Mental y Delincuencia. Lo studioso Víctor Ernesto Farías, classe 1940, filosofo dell’Università Andrés Bello di Santiago, già allievo (e poi denunciatore per pensiero filonazista) del filosofo tedesco Martin Heidegger (1889-1976), ha tratto dalla vicenda un libro memorabile, Salvador Allende. La fine di un mito. Il socialismo tra ossessione totalitaria e corruzione. Nuove rivelazioni (trad. it. Medusa, Milano 2007), da cui emerge che, tra l’altro, Allende ammirava il materialismo inquietante del vate della fisiognomica criminale Cesare Lombroso (1835-1909), il “genio” dell’endocrinologo razzista fascista Nicola Pende (1880-1970) e persino il Terzo Reich.
Il progetto di legge sulla sterilizzazione cilena è, come detto, del 1939: lo stesso anno in cui la Germania approvò una legge sostanzialmente identica. Del resto, dopo la Seconda guerra mondiale, il criminale nazista Walther Rauff (1906-1984) – tra l’altro amico di quel gran muftì di Gerusalemme che a Berlino fu un campione di antisemitismo accarezzando l’idea di sterminare tutti gli ebrei di Palestina – venne protetto da Allende, nel frattempo diventato presidente della repubblica, nel suo rifugio cileno, e questo, nel 1972, lasciò sgomento il “cacciatore di nazisti” austriaco Simon Wiesenthal (1908-2005).
Torniamo a oggi. L’Italia ha premiato la Bachelet il 17 ottobre 2007 insignendola di una laurea honoris causa in Medicina e Chirurgia nell’Università degli Studi di Siena. Lo fece l’allora ministro italiano dell’Università e della Ricerca, Fabio Mussi, già dirigente del Partito Comunista Italiano, poi Capogruppo del Partito Democratico della Sinistra e dei Democratici di Sinistra, ministro con il premier Romano Prodi e oggi membro di Sinistra Italiana.
Sì, il prossimo capo dell’OHCHR potrebbe non essere meglio. Ma che possa essere peggio è molto difficile.