«Figli»: finalmente un film ottimista

Quelli che vincono, alla fine, sono quelli che decidono di restare senza sottrarsi borghesemente alla realtà

Figli, per la regia di Giuseppe Bonito, interpretato da Paola Cortellesi e da Valerio Mastrandrea, è uscito nelle sale il 23 gennaio e, secondo il magazine italiano di informazione cinematografica Mymovies.it, è salito sino al secondo posto del box office.

Il plot in sé è piuttosto semplice: Sara e Nicola, una coppia qualsiasi di quarantenni, con mestieri normali e una casa normale, in una fase della vita che la pellicola definisce «luminosa», genitori di una figlia di sei anni, vengono “travolti” dalla nascita del secondogenito, Pietro. La fatica della gestione di un neonato e la rinuncia ai propri spazi e alle proprie libertà mette in subbuglio la famiglia e turba la serenità della coppia, dando vita a una serie di siparietti esilaranti incentrati anche su alcuni diffusi luoghi comuni: la pediatra-guru, la ricerca di una tata, le chat di classe su WhatsApp, le feste di compleanno dei bambini nei “festifici”… In effetti il pubblico in sala ride spesso, ma il film fa anche riflettere.

La realtà rappresentata è di fatto la stessa degli spettatori, nell’Italia un po’ smarrita di questi anni 2020, con qualche stereotipo nel rapporto fra mariti e mogli, ma anche alcune trovate decisamente brillanti. Per esempio il monologo serrato della giovane nonna cui viene chiesto di occuparsi del piccolo Pietro, la quale rifiuta per tenersi stretta la propria agiata libertà, è addirittura fulminante nel raccontare un conflitto generazionale che non si gioca più sugli ideali, ma sulla disponibilità economica e sul potere: «Noi anziani siamo una forza silenziosa e tranquilla», afferma la nonna, «ma se ci incazziamo sono dolori. Perché siamo di più. Siamo tantissimi. Ogni 100 giovani ci sono 165 anziani. […] E questo significa maggioranza assoluta».

Al film va riconosciuta l’efficacia, pur nella leggerezza di una pellicola che non punta certo all’Oscar, di saper dipingere una serie di questioni interessanti: il senso di inadeguatezza provato dai genitori, il desiderio di fuga rispetto ai doveri e alle costrizioni della vita familiare, l’amore e la tenerezza verso i piccoli.

Soprattutto ne emerge un aspetto che si trova con difficoltà nel panorama italiano della cultura e dell’intrattenimento, monopolizzato da un pensiero comune diretto spesso a sostenere una sorta di eroismo nel giocarsi il tutto per tutto all’inseguimento di “se stessi” e del piacere: in Figli, alla fine, fra tutti coloro che ingaggiano quotidianamente la propria faticosa battaglia quotidiana alla mediocrità, alla fine, si diceva, quelli che vincono sono «quelli che decidono di restare», che non svicolano, che non si sottraggono alla realtà. Che di suo è ineludibile per definizione, ma davanti alla quale spesso le persone, i genitori, s’illudono di trovare scorciatoie piccolo borghesi.

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