Un quarto di secolo fa esatto Papa san Giovanni Paolo II (1920-2005) promulgò un’enciclica fondamentale: l’Evangelium vitae. Fondamentale nel senso etimologico: fondamento e fondazione. Fondamento di ogni ulteriore considerazione, tanto che l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Joseph Ratzinger, poi Papa Benedetto XVI, formulò a partire da essa il concetto-forte di «princìpi non negoziabili». Fondazione di un nuovo approccio alla difesa della vita.
La difesa della vita, infatti, non è soltanto una battaglia di contrapposizione. Lo è, certo; eccome se lo è. Doverosamente e coraggiosamente, lo facciamo quotidianamente. Ma convincere i convinti non serve a nulla e predicare al coro serve solo a riempirsi le orecchie della propria voce. L’approccio scelto da san Giovanni Paolo II (peraltro tipico di tutto il suo magistero) è dunque un altro. Quello di battagliare proponendo. Proponendo una visione più ampia, un contesto d’insieme, persino una soluzione. La difesa della vita umana, dal concepimento alla morte naturale, intesa cioè come proposta di riscatto antropologico globale, persino di contro-rivoluzione umanistica.
Non è possibile, insegna san Giovanni Paolo II, difendere la vita umana senza un approccio universale a quello che il Premio Nobel per la neurofisiologia, lo scienziato australiano Sir John C. Eccles (1903-1997) chiama «il mistero uomo»: senza interrogarsi, cioè, sull’uomo per intero, sulla sua natura, sulla sua umanità nel senso da un lato più profondo dall’altro più semplice, addirittura immediato dell’espressione. E infatti il nostro mondo che disprezza la vita nascente e morente non è in grado di fare mai i conti con l’essere umano tutto: con la sua sessualità, con la sua socialità, con la sua vocazione di vita, con i diritti intrinseci di cui è portatore, con la sua libertà, in primis quella religiosa, con la sua morale. Tornando invece a guardare l’uomo per intero, l’uomo come intero, sarà allora possibile vincere sul serio la battaglia a favore della vita minacciata, anzi soppressa.
Ecco perché, scrive san Giovanni Paolo II titolando quell’enciclica fondamento e fondazione, quello della vita è un vangelo, un annuncio lieto al mondo. La vita è bella, e vale la pena di essere tutelata a ogni costo, perché essa è la possibilità autentica data all’uomo di essere uomo. Il nostro mondo annaspa nelle “liberazioni” e nelle “emancipazioni”, nelle “aspirazioni” e nelle “realizzazioni di sé”. Ma l’unica vera emancipazione, l’unica autentica liberazione dell’uomo non è l’esorcismo di se stesso, dice il magistero della vita del santo Pontefice polacco, bensì il ripudio di ogni tentazione di concepire se stessi, la vita umana, l’uomo, come fardello e come ostacolo, come limite e come obiezione.
Il sogno di Dio
Il Successore di Pietro sa, per fede e per ragione, che l’uomo è chiamato strutturalmente alla santità. Ovvero che ogni vita umana trova proprio compimento nell’unione perfetta con Dio. Che ogni vita dev’essere cioè santa, e che ogni vita non santa, strappata alla santità, orbata di questo destino, è motivo di profonda tristezza. Per Dio. Ecco allora la difesa della vita: la difesa della possibilità dell’uomo di compiere il proprio destino di santità secondo il tempo e le modalità che sono sue e che nessun altro ha il diritto di sottrargli.
Il presidente degli Stati Uniti d’America Ronald Reagan (1911-2004) ha fornito il modo più grazioso e rotondo di intendere un’espressione che, più che essere abusata, viene sempre gettata lì con leggerezza: «Il sogno americano è che ogni uomo debba essere libero di diventare ciò che Dio intende egli debba diventare». Con l’Evangelium vitae, con tutto il proprio magistero, è come se san Giovanni Paolo II avesse detto: “Il sogno di Dio è che ogni uomo debba essere libero di diventare ciò che Dio stesso intende egli debba diventare”.
Il pensatore statunitense Russell Kirk (1918-1994) ha sempre giudicato un inganno il sofisma cartesiano «penso dunque sono», opponendogli costantemente il suo realistico contrario «sono dunque penso», che glossava ricordando che non è affatto vero che Dio sia il parto dell’immaginazione umana, laddove è invece vero che l’uomo è creatura di Dio, il sogno di Dio. Ne era culturalmente convinto anche prima di diventare credente. E lo ha detto per una vita intera, prima da non credente e poi da credente, sulla scorta di un racconto dello scrittore tedesco Stefan Anders (1906-1970), pubblicato in inglese, negli Stati Uniti, nel 1950 con il suo titolo più compiuto We Are God’s Utopia, «Noi siamo l’utopia di Dio», laddove il tedesco precedente, del 1943 era solo Wir sind Utopia, «Noi siamo utopia». Dopo anni di studio di Kirk, e prima di frequentazione di lui, ne capisco fino in fondo il significato solo ora, alla luce dell’apocrifa reinterpretazione di Reagan che ho attribuito al magistero della vita di san Giovanni Paolo II.
Utopia non nel senso dell’illusione, ma della tensione ideale: della condizione che è iam et nondum, «già e non ancora», ovvero la santità, la quale non verrà dopo, ma che è già hic et nunc, «qui e ora», eppure attende il suggello dell’ultimo respiro per compiersi totalmente giacché la libertà umana è sempre libera sino all’ultimo istante. L’aborto e l’eutanasia non impediscono la santità, ma cercano di ostacolare lo sviluppo del progetto di libertà compiuta che Dio ha sulle persone, l’utopia, meglio: il sogno, che Dio ha per ogni singolo essere umano. Per questo il vangelo della vita non è soltanto la pur doverosa azione di contrasto all’aborto e all’eutanasia, ma la rifondazione per intero dell’umano, la riappropriazione intera della dignità umana.
L’appello laico dell’enciclica
Eppure san Giovanni Paolo II non ha fatto della battaglia per la vita una questione religiosa, confessionale. E questo è il suo altro enorme insegnamento. La battaglia per la vita è infatti una battaglia di dignità, di diritti inalienabili, di autentica qualità della vita. In questo modo essa è universale. Per questo l’Evangelium vitae dovrebbe essere oggi celebrata in ogni casa, in ogni Paese, in ogni mente, da ogni uomo.
Il nostro mondo si riempie la bocca spesso a sproposito del termine «umanesimo». Ecco, l’unico vero umanesimo possibile è questo: la difesa dell’essere umano nella sua irriducibile dignità, tenuto conto di tutti i fattori, quindi anche di quello trascendente, che non sarà gradito ad alcuni ma che quegli alcuni non hanno il diritto di negare ad altri, e persino a se stessi.
L’umanesimo della vita, l’unico possibile, l’unico vero, è quello che ci chiede di combattere il male della cultura di morte mentre al contempo proponiamo il bello della vita accolta, rispettata e tutelata anche nelle sue difficoltà, nella malattia, nel limite.
È un appello laico, davvero laico quello dell’Evangelium vitae, come invece molto mondo laico oggi non sa più fare.
In molti Paesi il 25 marzo è la Giornata del bambino non nato. Il primo Paese a istituirla è stato El Salvador nel 1993, seguito dall’Argentina nel 1998, nonché da Cile, Guatemala, Costa Rica nel 1999, dal Nicaragua nel 2000, dalla Repubblica Dominicana nel 2001, dal Perù nel 2002, dal Paraguay nel 2003, dalle Filippine nel 2004, dall’Honduras nel 2005, dall’Ecuador nel 2006 e da Puerto Rico nel 2018.
In Italia il primo a proporre l’iniziativa è stato don Oreste Benzi (1925-2007), fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, che da allora ripropone costantemente l’idea, mentre a livello mondiale sono i Cavalieri di Colombo, la più grande charity cattolica del mondo, a sostenerla. È un segno, e come tutti i segni ha potenzialità enormi. È una bandiera, e va issata. È una battaglia di civiltà, e va combattuta da credenti e da non credenti, visto che la difesa della vita non è un affare confessionale. Cominciamo a farlo. Subito. Non c’è data migliore della data del Giorno dell’Incarnazione, onorata dai cristiani, e della promulgazione dell’Evangelium vitae, vessillo dei cattolici, dei credenti di ogni religione e dei laici che abbiamo a cuore la vita umana dal concepimento alla morte naturale.
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