Eutanasia, in Francia emerge la verità

Se non possediamo la nostra vita, non possiamo allora disporne. Non possiamo sopprimerla

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Last updated on Giugno 8th, 2021 at 08:56 am

Settimana scorsa la proposta avanzata dal deputato di sinistra Olivier Falorni per legalizzare l’eutanasia in Francia è naufragata grazie alla sagace azione dell’opposizione parlamentare, che, prima della discussione, ha rovesciato sul tavolo 3mila emendamenti, mandando fuori giri il motore per l’impossibilità di rispettare i tempi contingentati previsti per il dibattito.

Chi di cavilli ferisce, di regolamenti perisce. È infatti un cavillo pretendere di chiamare «buona morte» l’uccisione di una persona, è un cavillo pensare di risolvere il dolore e la difficoltà di una persona ammazzandola ed è un cavillo chiamare «suicido assistito» la collaborazione alla morte di una persona.

Ma il cavillo più grande di tutti è affermare che l’eutanasia sia un diritto perché una persona della propria vita fa e può fare quello che vuole. In questo caso il cavillo è un sofisma, ovvero una clamorosa bugia formulata in maniera tale da sprofondare l’interlocutore nella confusione.

Una persona, infatti, non possiede affatto la propria vita. Se la possedesse, saprebbe controllarla. Saprebbe per esempio come darsela, la vita. Ma, nonostante tutte le aberrazioni della scienza di oggi e quelle che possiamo solo immaginare per domani, l’uomo la vita da sé non se la dà e non se la sa dare. Ci vogliono sempre e comunque altri, i suoi genitori, per dare la vita a una persona, e questo con totale radicalità laica, cioè al netto di qualsiasi altra considerazione su creazione, anima e Dio.

L’uomo della vita non sa un fico secco. Non sa come essa si origini: inventa, su questo conto, tante menzogne, ma l’unica cosa che può fare è prendere solo atto che la vita ci sia prima e nonostante sé, e dunque onorarla e favorirla, oppure manipolarla e sopprimerla, ma mai crearla.

Noi non creiamo la vita, né la nostra né quella di di altri. E questo perché la vita non la possediamo, proprio a partire dalla nostra.

Se non possediamo la nostra vita, non possiamo allora disporne. Non possiamo sopprimerla: possiamo farlo sul piano materiale, ma ci è intrinsecamente vietato sul piano di un’etica ancora una volta squisitamente laica. Abbiamo il compito, la gioia e l’incombenza di amministrarla, la vita: custodirla, proteggerla e riconsegnarla al momento debito. A Dio, alla natura, al nulla: si assuma, l’uomo, la responsabilità di credere in ciò che vuole, ma quella vita che non è sua egli o ella non può fare altro che conservarla per ridarla al proprietario.

Noi non ci possiamo sopprimere perché la vita che così elimineremmo non è un bene di nostra proprietà e dobbiamo restituirla.

Se vi prestano un’automobile, non vi sognate minimamente di sfasciarla: ne avete cura e la riconsegnate al meglio perché altrimenti Dio, la natura o il nulla vi fanno causa per danni contro il patrimonio.

Se funziona così per una macchina, perché non dovrebbe funzionare anzitutto e soprattutto per la vita umana?

Non si può uccidere con l’aborto perché non si dispone della vita degli altri e non ci si può suicidare, nemmeno imbellettando la lingua, perché nessuno di noi possiede la propria vita. Mi riempio sempre di un piacere profondo quando quei cavilli aridi e quei regolamenti sterili di cui si pasce la nostra cultura positivista e si compiace il nostro mondo legalistico si prestano, per serendipità, a frantumare le bugie della «cultura di morte» in una sontuosa legge del contrappasso.

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